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giovedì 25 ottobre 2012

Bersani. Filippo Penati era il capo di gabinetto, Zoia Veronesi la segretaria.

Bersani è sereno, come sereno è Scajola, come sereno è Vendola, come sereni sono ... tutti.
Sono gli italiani, che pagano il conto, a non essere sereni
Ci mancava pure questa !
Il partito in fibrillazione massima fra chi vuole farne il capofila del "liberismo" e chi vorrebbe farne un partito dalla bandiera rossa "socialdemocratica", l’impegno delle primarie ed il tenace avversario Matteo Renzi, ora pure i guai con la segretaria.
Pier Luigi Bersani non riesce a trovare pace. Ovviamente tiene duro. E dice di sentirsi «sereno», come d'altronde dice di essere sereno pure Scajola.  
Zoia Veronesi, saprà difendersi anche perché il segretario del Pd difficilmente potrebbe fare a meno di lei. Soprattutto adesso che vive le ore frenetiche che dovrebbero portarlo, in Aprile, al P-O-T-E-R-E.
Veronesi, la persona di fiducia di Bersani, è indagata dalla procura di Bologna con l’ipotesi di reato di truffa aggravata ai danni della Regione Emilia Romagna.
Le indagini sono rivolte su un fatto: da giugno 2008 al gennaio 2010, la “segretaria di ferro” avrebbe percepito lo stipendio e l’indennità da parte della Regione Emilia Romagna senza però lavorare presso l’ente locale perché si trovava a Roma, al seguito del segretario del Pd, nel suo nuovo ruolo di raccordo con le istituzioni centrali e il parlamento. Si trattava di un incarico legato alla fondazione Nens, acronimo di “Nuova economia nuova società”, voluta dallo stesso Bersani insieme con l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco .
 A inizio 2010, mentre stava scoppiando il caso, Veronesi si era comunque licenziata dalla “Mamma Regione Emilia Romagna” ed era stata assunta dal Pd di Roma.
Tanto  !!
Denaro pubblico era quello della Regione e denaro pubblico e’ quello al Partito (finanziamento pubblico). Forse una mossa strategica del Partito per salvarsi la faccia e proteggere lei. Forse una semplice intenzione di “rimettere ordine” in una situazione ambigua. Anche perché lei non è una donna che ama perdersi in parole né sprecare il proprio tempo.
Lavorare è l’unica cosa che le interessa. Con quel piglio tipico delle donne emiliane.
Veronesi si era fatta le ossa per nove anni al seguito del segretario degli allora Ds, Mauro Zani. Poi l’incontro decisivo quando all’inizio degli Anni 90 il partito le affidò la stella nascente Pier Luigi Bersani. Da allora, fra il 1993 e il 1996, per entrare in contatto con quello che nel frattempo era diventato il neo-presidente della Regione Emilia Romagna, bisognava passare necessariamente da lei.
È lei a tenere l’agenda (professionale e personale) di Bersani, lei che lo segue ovunque. Addirittura al punto che, da dipendente della Regione, le era stato concesso - tra il 1996 e il 2001 - di prendere un periodo d’aspettativa per seguire l’attuale segretario del Pd a Roma, prima al ministero delle Attività produttive, poi ai Trasporti dove per lei arriva un’assunzione come collaboratrice
esterna nello staff del ministro.
Poi, con la sconfitta del centrosinistra, tornò in Regione Emilia Romagna dove nel frattempo si era insediato Vasco Errani.
Il resto è presente. E l’interrogazione dei magistrati di Bologna dovrebbe far arrivare le prime risposte. Intanto, certo, per Bersani non sono momenti da ricordare. E non c’entra solo la segretaria. Anzi.
C’è per esempio l’inchiesta di Monza, dove però il segretario del Pd non è nominato direttamente. Solo che lì ci sono i soldi. Quelli veri. E l’implicazione del suo ex stretto collaboratore, il capo di gabinetto, Filippo Penati.

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