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domenica 21 ottobre 2012

A proposito del recente fatto di violenza ai danni di due ragazze (Carmela e Lucia) a Palermo

“Ho perso la testa” ha detto agli inquirenti il ragazzo che con 20 coltellate ha assassinato la sorella della ragazza che lo aveva respinto. “Ho perso la testa”. Cosa significa perdere la testa ?
La violenza, la cattiveria, ciò che in una parola si chiama “il male” è dentro ciascuno di noi, dentro ciascun uomo. Ogni volta che l’essere umano non ammette, non vuole ammettere, di avere il “male” in se stesso, allora capita inevitabilmente che la esteriorizzi, la proietti sugli altri. Così è sempre stato e così sarà sempre.
Qualche sera fa Giuliano Amato, ospite nel programma di Lilli Bruger su La7, ha detto, lui che è un laico: da quando l’uomo mangiò la famosa “mela” il male è dentro ciascuno di noi; non ci sarà legge che riuscirà a cacciare via il “male” dal mondo.
Come spiega inoltre il grande antropologo René Girard, la violenza e il capro espiatorio (la sua vittima) sono un meccanismo da cui l’uomo non può liberarsi da solo e, infatti, proprio per salvarsi dall’autodistruzione costruisce attorno alla violenza le regole del sacro (i comandamenti) e del profano (le leggi), per arginarne (non risolverne) il deflagrare.
Nella storia, per tentare di liberarsi dalla violenza che ha dentro, l’uomo ha sempre cercato di distruggere il nemico che di volta in volta, all'occorenza,  si è inventato come bersaglio; quando invece di proiettarla fuori, questa violenza avrebbe dovuto riconoscerla dentro se stesso e guardarla con coraggio, per poterla sgretolare da dentro, grazie a quella pietas (il riconoscimento della dignità altrui e propria), sempre più debole nella nostra cultura attuale dove ci vengono proposti modelli di supremazia, di successi, di superuomini.
Come recuperare la pietas, l’empatia per l’altro?
L’incapacità di dare senso alla vita porta inevitabilmente a cercarne la soluzione nel consenso. Il consenso dello sguardo altrui. L’altro viene investito di una carica di assoluto che si spera possa redimere e salvare la propria mancanza di identità: dal grande fratello con il suo occhio senza pietà, alle relazioni (di lavoro, d’amore…) senza pietà. Perdere il consenso dell’altro, significa perdere in qualche modo se stessi. Senza l’altro non si è più nessuno. Questo porta all’ossessione in cui tutti coloro che scaricano la violenza sugli altri precipitano mediante sms e minacce, preliminari del possibile e potenziale raptus.
La sorella di Carmela, Lucia, sua ex-ragazza per lui aveva una colpa senza remissione possibile: essersi portato via lui, Samuele, non solo se stessa, interrompendo la loro relazione.
Samuele, forse, si sentiva qualcuno solo grazie o a spese di quella ragazza, non voleva tornare nel nulla di prima. Egli cercava la vita sul dominio dell’altro, non in sé. Egli non ha perso la testa, ha semplicemente mancato, non ha saputo riconoscere che la sua vita aveva un senso, indipendentemente dall’allontanamento della sua ex-ragazza.
Non ha perso la testa, intesa come senso della vita; semplicemente non ha mai avuto la testa, intesa come indirizzo della vita. Il modello di vita “individualista” in cui viviamo ed in cui siamo immersi è la causa dell’esplodere di “violenza”.
Noi tutti cresciamo con aria di superiorità e di supremazia.
Vogliamo emergere sugli altri. Nessuno ci insegna più come si fa a cercare dentro di noi e conseguentemente a coltivare la pietas.

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