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sabato 12 novembre 2011

Il rito greco-bizantino attraverso le suppellettili liturgiche

ripreso dal sito dell'Università di Palermo:
Osservatorio per le Arti Decorative in Italia "Maria Accascina
 Le suppellettili liturgiche dell’Eparchia di Piana degli Albanesi
di Rosalia Francesca Margiotta
Le suppellettili liturgiche provenienti da Piana degli Albanesi costituiscono uno straordinario strumento per accostarsi alla particolare configurazione religiosa e culturale di quella comunità, tenacemente ancorata ad una tradizione, ma anche profondamente radicata nel territorio che l’ha accolta. L’incontro tra il mondo bizantino-greco ed il latino, tra la cultura albanese e quella siciliana, ha prodotto oggetti di oreficeria artistica impregnati di un profondo sensus fidei[1], che nelle forme si distinguono in parte dal patrimonio isolano, per la loro specifica collocazione rituale e per l’appartenenza culturale dei committenti, nonostante un comune orientamento stilistico risalente alla formazione degli orafi ed argentieri locali che realizzarono i preziosi manufatti.
Le opere di argenteria selezionate giungono soprattutto da Piana degli Albanesi e da Mezzojuso[2] e sono per lo più realizzate da argentieri palermitani del XVIII e XIX secolo, con qualche episodio tardo cinquecentesco e secentesco.
È significativo che tra le più antiche opere rintracciate nel territorio dell’Eparchia, vi sia una “vasca battesimale” (η Κολυμβήθρα), strumento dei riti dell’Iniziazione cristiana, che trova diversa espressione nelle due Liturgie. La grande vasca di rame della fine del XVI secolo della chiesa di San Nicolò di Mira di Mezzojuso , espressione artistica di grande eleganza, è stata giustamente collocata storicamente nell’ambito della temperie manierista che vide protagonisti a Palermo i Gagini[3]. L’opera, sostenuta da piedini zoomorfi e ornata da mascheroni, è strettamente raffrontabile con quella dipinta nel 1619 nella tela di Francesco Quaraisima, custodita nella chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo di Caccamo[4]. Altro raffronto tipologico offre la più tarda vasca raffigurata sulla tela Nascita della Vergine (1650) del messinese Giovan Battista Quagliata[5]. Pressoché coevo all’opera di Piana è il manufatto in rame dorato e sbalzato della chiesa di San Nicolò di Contessa Entellina, che presenta un corpo centrale caratterizzato da grossi baccelli[6] .
La realizzazione di oggetti in rame è attestata anche a Piana degli Albanesi in un periodo molto più tardo. Il 23 novembre 1755 magister Giovanni La Rosa di Palermo riceve onze 11 e tarì 2 dal procuratore della Chiesa Madre pro pretio di n. novi lampieri di ramo giallo con suoi cappelletti di ramo giallo e sue frinze di seta ed ancora il 2 ottobre 1772 Giovan Battista Cangiamila di Palermo riceve onze 3 dal sacerdote don Gioacchino Petta, procuratore della Matrice di Piana, pro pretio di otto balli di ramo giallo per servitio delli lampieri della Maggior Chiesa per cambiatura d’un lampiere rinovato di ramo giallo per conciatura delli lampieri vecchi, per cambiatura d’una campanella. Si ricorreva al rame probabilmente per limitare le spese in un periodo in cui nella Matrice Chiesa fervevano tanti lavori, tra le opere realizzate va ricordato un paliotto di marmo per la cappella del SS. Rosario, commissionato dal sacerdote Onofrio Bua, procuratore pro tempore, a Giovan Battista Mascarello il 27 agosto 1767, per la cui caparra furono versate onze 3 e tarì 18[7].
La “vasca battesimale” ha grandi dimensioni per consentire di immergere agevolmente e far riemergere il battezzando, lavandolo nell’acqua santificata, detta appunto lustrale[8]. Dopo l’invocazione dello Spirito Santo, con la quale il sacerdote benedice l’acqua, viene amministrato il Battesimo mediante triplice immersione, invocando le tre persone della Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, simboleggiando, come scrive Giovanni Crisostomo, «la discesa agli inferi e l’uscita da questa dimora»[9].
Successivamente il neonato riceverà la Cresima, «secondo sacramento dell’iniziazione cristiana, che trasmette l’energia dello Spirito Santo e i suoi molteplici doni al neo-battezzato per il cammino, la crescita e il perfezionamento della nuova vita in Cristo, ricevuta dal battesimo»[10], e l’Eucaristia.
L’abluzione con l’acqua benedetta nel rito battesimale latino ha portato alla realizzazione di piccoli recipienti per raccogliere l’acqua dal fonte e riversarla sul capo del battezzando, tra cui coppette, conchiglie, mestoli battesimali, saliere, vasetti per l’olio santo[11]. Tali oggetti sono generalmente corredati da un bacile per raccogliere l’acqua e fungere da sostegno[12]. Si ricorda tra tutti la coppetta a forma di conchiglia di collezione privata trapanese, realizzata da argentiere palermitano del 1689, caratterizzata dalla presenza di un uccello nella parte superiore, dal forte valore iniziatico; il mestolo battesimale di collezione privata palermitana del 1748-49 e il completo per il sale, non omogeneo, del Tesoro del Duomo di Monreale, eseguito da argentieri palermitani dei secoli XVII-XVIII-XIX[13].
Utilizzato dal sacerdote di rito bizantino-greco per le unzioni prebattesimali è il crisma o olio dei catecumeni, chiamato dalla liturgia “olio dell’esultanza”, che protegge il battezzando dagli assalti del demonio[14] e che nella chiesa orientale viene consacrato dai sacerdoti per antica tradizione[15]. Per l’amministrazione del Sacramento della Cresima ai neobattezzati viene adoperato il Santo Myron, unguento profumato ricavato dall’olio e dal balsamo, misto a varie sostanze odorifere, consacrato dal Vescovo, che serve anche per la consacrazione delle icone, del calice e del discario[16]. Questi oli, insieme a quello usato per l’Estrema Unzione, sono contenuti in pregiati vasi per lo più d’argento che, soprattutto per la custodia del Myron, devono contenere all’interno una boccetta di vetro dentro la quale vi è una piccola asta che si immerge nel liquido e permette di prelevare una piccola quantità del santo unguento[17].
Esempi di vasi porta oli sono quelli esposti in mostra, provenienti da Piana degli Albanesi e da Contessa Entellina[18] (fig. 3) e custoditi presso il Museo Diocesano di Piana degli Albanesi intitolato a monsignor Giuseppe Perniciaro, eletto vescovo il 26 ottobre 1937, nella stessa data di erezione dell’Eparchia, e consacrato il 16 gennaio 1938[19]. I manufatti di Piana, realizzati in argento sbalzato e cesellato, recano lo stemma della città di Palermo, l’aquila a volo basso, e la sigla consolare GGSC, da riferire a Giovanni Giorgio Stella, che detiene la prestigiosa carica all’interno della maestranza dal 21 gennaio 1651 al 4 gennaio 1652[20]. Gli altri esemplari in piombo con iscrizioni in greco sono da ascrivere a maestranze siciliane del XVII secolo.
Uno dei primi oggetti usati nella Protesi, parte iniziale della divina Liturgia bizantina, posto sull’omonimo altare, situato nell’abside a sinistra di chi guarda l’iconostasi, luogo liturgico che simboleggia Betlemme e la grotta della nascita di Cristo[21], è la “lancia per il pane” (η lógχh), coltello a doppio taglio, cui viene associata l’immagine del soldato romano che ha trafitto il costato di Cristo sulla croce[22]. Il suo uso rivela la diversa evoluzione della forma liturgica tra rito greco e rito latino, pur nella comune origine. Ridotto all’essenziale nella chiesa latina[23], il rito della frazione del pane è ancora particolarmente vivo in quella greca e costituisce l’inizio della divina Liturgia eucaristica, accompagnato da preghiere che fanno memoria del sacrificio di Cristo. La forma di questo oggetto liturgico è genericamente di piccola lancia con manico cruciforme che serve al sacerdote appunto per tagliare la prosforà (η προσφορά), il pane fermentato offerto dai fedeli per la celebrazione liturgica[24], la cui parte centrale porta impresso il monogramma di Cristo (IC XC NI KA, Gesù Cristo Vince) e dal quale si prendono alcune particelle che verranno consacrate per la comunione dei fedeli[25], mentre ciò che resta viene benedetto e alla fine della Liturgia distribuito ai fedeli[26].
Databile al 1752-53 è la lancia priva di decorazioni (fig. 4), proveniente dalla Cattedrale di San Demetrio di Piana degli Albanesi[27], opera di ignoto argentiere palermitano, poiché reca il marchio della maestranza del capoluogo siciliano, l’aquila con le ali a volo alto, ed il punzone del console Giovanni Costanza, che ricopre la più alta carica dal 25 giugno 1751 al 27 giugno 1754[28].
Altrettanto semplice doveva essere l’analogo oggetto liturgico citato in un inventario della Chiesa Madre di rito greco, intitolata a San Nicola, di Contessa Entellina[29].
Suppellettile fondamentale nella divina Liturgia del rito bizantino - ma anche in quello latino - è il calice (τò ποτήριον), destinato a contenere il vino della celebrazione eucaristica e piccoli pezzi di pane con i quali vengono comunicati i fedeli[30]. Ne è un esempio il calice in argento sbalzato della chiesa dell’Odigitria di Piana degli Albanesi[31] (fig. 5). Il prezioso manufatto propone la tipologia secentesca caratterizzata dalle aggettanti testine di cherubini alate, analogamente proposte da svariate opere coeve sparse in tutta l’isola, tra cui il calice della Chiesa Madre di Polizzi Generosa del 1686-87[32] e quello della chiesa dei Padri Cappuccini di Bisacquino del 1696-97, siglato da un ignoto argentiere FL, che fa seguire alle sue iniziali un asterisco come segno distintivo[33]. Il manufatto di Piana reca la triplice punzonatura composta dal marchio di Palermo, l’aquila coronata a volo basso, le iniziali del console Giuseppe Cristadoro, che lo vidimò nel 1696-97 e quelle dell’argentiere DR da identificare, probabilmente, con Didaco Russo, la cui attività è documentata solo dal 1701 al 1729[34]. L’artista fu attivo nel 1716 a Termini Imerese ove realizzò le urne di Santa Candida, di Santa Basilla e di San Calogero romano[35] ed ancora nel 1718 a Polizzi Generosa dove eseguì una croce processionale oggi custodita nel Tesoro della Chiesa Madre[36]; nel 1719 e nel 1723 fu anche a Ciminna e l’anno successivo a Mussomeli[37]. Si riscontra il marchio DR pure sull’ostensorio della Madonna della Dayna, da datare dopo il 1715 per la presenza dell’aquila a volo alto, e sul paliotto della Chiesa Madre di Naro, opera del 1724[38].
Evidenzia il trapasso dalla base circolare secentesca a quella settecentesca, mistilinea e tripartita da carnose volute, il calice del Tesoro del Duomo di Monreale (fig. 6) che mostra alla base le tre Virtù teologali, Fede, Speranza e Carità, con i rispettivi attributi iconografici[39], raffigurazioni di stretta derivazione serpottesca, che testimoniano gli scambi continui tra le diverse branche dell’arte[40]. La Fede regge in mano il simbolico calice con l’ostia e la croce, la Speranza l’ancora e la Carità è raffigurata nell’atto di allattare un bambino posto sulle sue braccia, similmente al calice del 1748-49 della Maggiore Chiesa di Termini Imerese, realizzato dall’argentiere Pietro Curiale[41]. L’opera monrealese è stata eseguita nel 1744-1745 da un anonimo argentiere palermitano dalla sigla GS* contrassegnata da un asterisco[42]. Tra le produzioni di oreficeria sacra siciliana caratterizzate da simili ornati si ricorda il calice realizzato per il Santuario dell’Annunziata di Trapani datato 1751, l’ostensorio del 1745 ed il calice del 1748, entrambi provenienti dalla chiesa di S. Maria Assunta di Sambuca di Sicilia[43].
Allo stesso Tesoro della Cattedrale normanna appartiene il calice (fig. 7), già nella collezione Renda Pitti, investito da un motivo a spirale che interessa tutta l’alzata e termina nel sottocoppa[44]. L’opera ha impresso l’incompleto marchio G78 da riferire a Gioacchino Garraffa, che ricoprì la più alta carica all’interno della maestranza nel 1777 e nel 1778, data quest’ultima di realizzazione del manufatto[45].
Al posto della patena, nel rito bizantino-greco, è usato il discario (τò δισράριον) un piatto circolare metallico con i bordi curvati in alto, atto a contenere la già citata prosforà[46]. Sul discario si colloca l’asterisco (o Аστερίσκος) formato da due lamine metalliche incrociate piegate a semicerchio e fissate al centro da cui pende una stella. Tale oggetto liturgico, usato affinché il velo che copre il discario stesso non venga a contatto con il pane eucaristico, simboleggia la stella che guidò i Re Magi alla grotta di Betlemme dove nacque Gesù, immagine che rievoca un momento della storia evangelica[47].
Un asterisco d’argento è citato nell’inventario del 1791 della chiesa di rito latino di Maria SS.ma della Favara di Contessa Entellina, redatto in occasione della Sacra Visita di monsignor Antonino Cavalieri, vescovo della diocesi agrigentina[48].
Il pane eucaristico viene distribuito ai fedeli con la santa labida (η λαβίς), cucchiaino liturgico destinato a contenere un pezzetto di pane, intriso di vino consacrato, per la distribuzione della santa comunione ai fedeli.
Si presenta semplice, senza alcuna decorazione, il cucchiaino custodito in Episcopio. Quattro cucchiaini per distribuirsi la SS.a Eucaristia, tre di argento dorato ed uno di ottone, sono elencati in un altro inedito documento del 1797 tra le suppellettili d’oro e d’argento della sagrestia della Chiesa Madre di San Nicola di Contessa Entellina[49].
A differenza del rito bizantino-greco, quello latino non prevede la distribuzione del pane eucaristico mediante il cucchiaio, se non in rarissimi casi e spesso sostituito dalle pinze eucaristiche; rari e per lo più circoscritti all’Europa continentale pure i casi di cucchiai usati nel rito latino per versare alcune simboliche gocce d’acqua nel vino[50].
Per conservare le Sacre Specie, nelle chiese bizantino-greche, servono suppellettili dalle coppe molto capienti. Una panciuta coppa caratterizza la pisside di argento dorato della chiesa di San Giorgio di Piana (fig. 8) eseguita da un ignoto argentiere siciliano degli inizi del XVII secolo[51], innestata alla base da un fusto con nodo ovoidale tipico dell’epoca, che deriva «dalla cultura della maniera che da Napoli giunge in Sicilia, attraverso opere inviate e artisti trasferiti nell’isola»[52]. L’opera, riferibile alla pisside addorata, citata nell’ inventario redatto nel 1715 in occasione della visita pastorale del cardinale Francesco Giudice[53], è caratterizzata da motivi ad arabeschi ed ingloba vari medaglioni all’interno dei quali sono raffigurati Cristo Risorto, la Madonna con il Bambino, San Giovanni Evangelista e San Giorgio nell’atto di uccidere il drago[54], mentre nel nodo figurano i simboli della Passione di Cristo ed alla base è incisa la scritta fattu per la confraternita di santu Giorgiu, sodalizio che aveva sede nell’eponima chiesa[55]. Il manufatto è raffrontabile tipologicamente con la coeva pisside, non omogenea, della chiesa di Santa Maria di Gesù di Gratteri, sulla cui coppa sono incise figure di santi francescani[56], e con la parte superiore della pisside della chiesa Madre di Caccamo della seconda metà del XVI secolo che presenta incise le scene dell’Annunciazione, della Natività, della Crocifissione e di San Giorgio e la principessa[57].
Appartenente al corredo liturgico della chiesa di San Nicolò di Mira di Mezzojuso è la pisside (τò Αρτοφόριον) rettangolare, secondo una tipologia esclusivamente legata al rito bizantino, incisa con eleganti ornati fitomorfi, recante nella parte superiore i simboli della Passione di Cristo (chiodi, frusta, gallo, scala, dadi e martello) e conclusa da una croce poggiante sul Golgota con il simbolico teschio di Adamo (fig. 9). Il manufatto, privo di marchi, ma ascrivibile ad argentiere siciliano del XVIII secolo[58], richiama alla memoria per la sua forma la più antica cassetta reliquiaria di San Martino della Chiesa Madre di Corleone[59].
Presenta una particolare forma esagonale, ancora una volta di ascendenza bizantina, la pisside con iscrizioni della chiesa di San Nicolò di Mira di Mezzojuso (fig. 10) che riprende la più antica tipologia di pisside su piede (pediculata) a torre di forma cilindrica con coperchio incernierato, antecedente al Concilio tridentino, che segnò l’evoluzione della pisside verso forme simili a quelle del calice, seppure con coperchio ed imboccatura più larga e quindi coppa maggiormente bombata[60]. L’opera, esposta alla Mostra delle iconi del 1957-58 e del 1980 e più recentemente a quella Tracce d’Oriente[61], eseguita da argentiere siciliano nel 1881, è copia di un più antico manufatto del 1770, trafugato nel 1878[62].
Tipologicamente affine all’opera di Mezzojuso è la pisside con base esagonale del Tesoro del Duomo di Siracusa, eseguita da ignoto argentiere messinese nel 1751 che propone la figura di Gesù Bambino con il globo in mano[63] e quella custodita nel Tesoro del Duomo di Erice, riferita ad argentiere trapanese del 1819[64].
Ancora molto capiente, nonostante appartenga al rito latino che dal X-XI secolo sostituisce il pane con le ostie riducendo notevolmente di dimensioni le pissidi[65], è l’esemplare facente già parte della collezione Renda Pitti, oggi custodito nel Tesoro del Duomo di Monreale[66] (fig. 11), che propone in una sezione della base, tripartita da volute, il martirio di Santo Stefano. Il Protomartire cristiano è rappresentato in ginocchio di fronte al lapidatore pronto a scagliargli contro i sassi che tiene in mano. Il Santo volge lo sguardo verso l’alto ove vi è un puttino con in mano la palma del martirio ed una corona, secondo quanto scritto negli Atti degli Apostoli: Stefano pieno di Spirito Santo, con lo sguardo fisso al cielo vide la gloria di Dio… e disse “Ecco, io contemplo i cieli aperti” (7, 55-56)[67]. Nelle altre due sezioni figurano San Francesco che dona la regola a Santa Chiara e un angioletto in adorazione dell’Immacolata Concezione, la cui iconografia, similmente alla Vergine senza macchia del leggio in argento e tartaruga del Museo Diocesano di Palermo, è tratta dalla visione onirica dell’Apocalisse di San Giovanni: una donna rivestita del sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle[68]. La ricchezza decorativa dominata da motivi rocaille, testine di cherubini alati, simboliche spighe e grappoli d’uva, culmina con la raffigurazione nelle volute del coperchio dell’Agnus Dei posto sul libro dei sette sigilli, allegorica raffigurazione di Cristo, del Buon Pastore e del Pellicano. Già nel II secolo d.C. il Physiologus a proposito del pellicano afferma che, «mentre la femmina di questo animale soffoca i piccoli, il maschio ridà loro la vita lacerandosi il petto e facendo cadere il proprio sangue su di essi»[69]. Non a caso lo ritroviamo anche in molte croci dipinte siciliane del XV secolo, che lo presentano nel capocroce superiore, sottolineando la funzione salvifica del Cristo Crocifisso sulla croce[70].
L’opera di Monreale che reca il marchio della città di Palermo, l’aquila a volo alto, e le iniziali del console del 1763-64 Nunzio Gino, è stata realizzata dall’argentiere Vincenzo Papadopoli che era solito apporre sui suoi manufatti le proprie iniziali, contraddistinte da due asterischi V*P*, sigla più volte rilevata da Maria Concetta Di Natale in opere del Tesoro della Matrice di Castelbuono[71]. L’artista palermitano, la cui identità è stata confermata da un documento d’archivio relativo al reliquiario di San Calogero della Maggiore Chiesa di Petralia Sottana del 1771[72], è documentato in attività dal 1762 al 1789, anno della sua morte[73]. Analoghe soluzioni decorative presenta la pisside del Tesoro della Matrice Nuova di Castelbuono, realizzata dallo stesso argentiere tra il 1770 e il 1771[74].
Di proporzioni molto più contenute è la pisside proveniente dalla Cappella della “Real Casina” di Ficuzza[75] (fig. 12), fatta costruire da re Ferdinando IV di Borbone, nella seconda metà del XVIII secolo, su disegno del progettista di corte Carlo Chenchi e sotto la direzione dei lavori dell’architetto palermitano Venanzio Marvuglia[76]. L’opera, totalmente ricoperta da decorazioni figurate che si intrecciano e si susseguono, è un pregevole esempio di argenteria napoletana della seconda metà del XVIII secolo, che dimostra la straordinaria abilità degli argentieri partenopei, purtroppo ignoti per l’assenza di punzoni.
Un posto d’onore nelle chiese orientali ha il libro degli Evangeli, situato sulla Sacra Mensa. Il libro liturgico contiene le pericopi evangeliche della liturgia quotidiana dei quattro evangelisti, divise ed ordinate secondo il calendario liturgico bizantino, le pericopi evangeliche dell’anno ecclesiastico, le ufficiature varie, e l’Ευαγγέλιστάριον, cioè le tavole e le rubriche indicanti l’ordine delle letture nell’ufficiatura[77].
Pregevole esempio di Evangeliario (τò Ευαγγέλιον) è quello con copertina in argento sbalzato del Museo Diocesano “Mons. Giuseppe Perniciaro” di Piana degli Albanesi realizzato da artista slavo, che reca incisa in uno scudo la data 1898[78]. Il manufatto presenta da entrambi i lati una decorazione con volute, motivi floreali e fitomorfi formanti cornici mistilinee e includenti due diverse scene. Nel recto, infatti, figura Cristo Crocifisso con ai piedi il simbolico teschio di Adamo e lateralmente la Vergine dolente e Santa Maria Maddalena, mentre nel verso è effigiato Cristo Risorto, posto al di sopra del sepolcro scoperchiato, secondo l’iconografia post-tridentina, e con il vessillo in mano, iconografia di derivazione occidentale poiché la Resurrezione nella tradizione bizantina è rappresentata dal Cristo che libera dagli inferi i progenitori e i Giusti del Vecchio Testamento, come nella croce della chiesa di S. Maria di tutte le Grazie di Mezzojuso[79]. Agli angoli, da un lato, sono inseriti le figure dei Profeti Davide, Salomone, Isaia e Geremia, che hanno predetto la Resurrezione di Cristo, mentre dall’altro i quattro evangelisti accompagnati dai «quattro animali della visione di Ezechiele (Ez 1,5-14), donde il simbolismo che sempre li accompagna nelle arti figurative. Secondo S. Girolamo (Comm. In Matth. Prol.; Comm. In Ez ad I, 7 e sg.) Matteo è simboleggiato nell’uomo perché il suo Evangelo inizia con la genealogia umana di Cristo; Marco nel leone, perché inizia con Giovanni Battista nel deserto; Luca nel vitello, perché inizia con Zaccaria; Giovanni nell’aquila, per la sublimità con cui descrive la divinità del Verbo»[80].
La raffigurazione degli Evangelisti accompagnati dai loro simboli è presente anche sulla base del calice in argento e argento dorato della fine del XVII - inizi del XVIII secolo della chiesa di Maria SS.ma della Favara di Contessa Entellina[81], costruita, secondo una pia credenza popolare, in tempi molto antichi, presso una fonte ove era stata rinvenuta una lastra di pietra con l’effigie della Madonna[82].
Importanza rilevante durante il rito bizantino-greco assume l’incensazione. Il turibolo (τò θυμιατήριον) usato ha solitamente dimensioni molto più contenute rispetto a quello del rito latino, dal momento che, a differenza di quest’ultimo, nell’incensazione viene tenuto con una sola mano. Si presenta generalmente sostenuto da quattro catenelle fornite da dodici sonagli, tre per ciascuna catena, il cui allegro suono vuole ricordare i dodici apostoli che annunziarono l’Evangelo nel mondo e serve per profumare l’altare, i santi doni (il pane e il vino destinati a divenire Eucaristia), le icone, le persone e ogni oggetto[83]. A differenza del rito latino l’incenso puro viene utilizzato solo nelle liturgie funebri, nelle altre occasioni viene aromatizzato con profumazioni di fiori ed erbe[84].
Il turibolo e la navicella portaincenso scelti tra gli esemplari di rito latino, facevano parte delle sacre suppellettili commissionate a Napoli dal re Ferdinando di Borbone per la cappella della “Real Casina” di caccia di Ficuzza[85] (fig. 13), ornata all’altare maggiore dalla tela raffigurante Santa Rosalia di Giuseppe Velasco[86]. Le opere, caratterizzate da una decorazione rocaille, nonostante siano prive di marchi sono databili alla metà del XVIII secolo.
Nella liturgia pontificale al momento del Grande Ingresso vengono portati in processione, aperta dalla croce, oltre al calice e alla patena, anche la corona o mitra ed il bastone pastorale. Tra le suppellettili legate a questo momento della Liturgia, presenta una consueta tipologia la croce astile in argento sbalzato proveniente dalla Cattedrale di San Demetrio di Piana degli Albanesi[87]. La croce, poggiante su grosso nodo con ornati fitomorfi che la congiunge all’asta, presenta la figura del Crocifisso, verosimilmente non omogeneo al resto dell’opera, realizzato in rame dorato, con il capo reclinato sulla spalla destra e lo sguardo rivolto al cielo, prefigurando «un superamento del momento della morte verso la Resurrezione»[88]. Elementi a traforo con inserimento di testine di cherubini ornano le parti terminali dei bracci. Il manufatto, punzonato con il marchio della città di Palermo, caratterizzato dall’aquila a volo alto, e quello del console del 1739 Giovanni Costanza, è stato realizzato dall’argentiere palermitano Antonino Nicchi che sigla le sue opere con le iniziali intervallate da un puntino[89]. L’argentiere, documentato dal 1727 al 1781, anno della sua morte[90], già individuato da Maria Accascina[91], realizza un gruppo di pregiate suppellettili per il monastero benedettino del Rosario di Palma di Montechiaro[92].
Il pastorale (ποιμαντική ‘Рάβδος) di madreperla, avorio e tartaruga custodito in Episcopio è da riferire ad artista greco della seconda metà del XVIII secolo[93] (fig. 14). Anche le maestranze siciliane, soprattutto quelle trapanesi, erano esperte in questo tipo di lavorazioni[94]. Una delle tante sculture in avorio eseguite da tali maestranze è, ad esempio, il gruppo della Madonna del Rosario del secolo XVIII di collezione privata palermitana, posto in una scarabattola lignea impiallacciata da lamine di tartaruga e impreziosita da decori floreali in madreperla[95]. L’opera di Piana culmina con un globo sormontato da due anse a testa di serpente contrapposte, simbolo della prudenza che deve avere il Vescovo nel dirigere il gregge[96]. Tale forma «è attestata verso la fine del 300 o l’inizio del 400 da Simeone di Tessalonica: se la croce è “il trofeo per mezzo del quale vinciamo”, i serpenti rivolti verso di essa rammentano questa parola di Cristo (Matteo 10, 16): “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi, siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”»[97].
Simile impostazione tipologica dell’opera di Piana degli Albanesi presenta il pastorale posto accanto a San Gregorio, in uno dei sei affreschi dei Padri della Chiesa greca eseguiti, nel 1752 circa, da Olivio Sozzi nella chiesa di Santa Maria di tutte le Grazie di Mezzojuso (fig. 15)[98] e quello raffigurato nella tempera su muro Il ritorno di Nicodemo al soglio Vescovile di Palermo di Palazzo dei Normanni di Palermo, opera del 1830 circa di Vincenzo Riolo[99]. Un’altra opera che ripropone un pastorale pressoché identico a questo di Piana è riprodotto nella tela del XIX secolo ritraente San Spiridione della Cattedrale di San Demetrio dello stesso centro.
Proveniente dal monastero delle suore benedettine di San Castrenze di Monreale[100] è invece il baculo pastorale (fig. 17), commissionato, come si evince dall’iscrizione, dalla badessa donna Nunzia Fulci ad un ignoto argentiere palermitano e marchiato dal console Francesco Cappello in carica dal 21 luglio 1745 al 22 agosto 1746[101]. Il manufatto culmina con un riccio ornato da foglie d’acanto terminante con la statuina di San Benedetto, in atteggiamento estatico. Tipologicamente simile doveva essere il perduto pastorale, commissionato il 23 gennaio 1606 dai monaci dell’abbazia di Santa Maria del Bosco all’orefice e argentiere Pietro di Capua[102], citato nell’inventario del 1642 relativo al monastero nemorense[103].
Nonostante l’ostensione non facesse parte delle pratiche liturgiche bizantino-greche, arrivati in Italia gli albanesi vennero a contatto con la tradizione liturgica latina mutuandone alcuni aspetti ed adeguandosi alle innovazioni introdotte dal Concilio di Trento.
Alla fine del XIX secolo si ha notizia che Ferdinando II di Borbone, con il Real Rescritto del 5 agosto 1845, ordinava alla Matrice greca di Palazzo Adriano di «fare la processione del Corpus Domini, alla quale dovranno intervenire il Parroco ed il Clero latino; nella intelligenza che il primo posto a sinistra sarà occupato dal Parroco Latino e così di seguito il Clero Greco occuperà il lato destro ed il Latino il sinistro, con farsi procedere ciascuno dei due Cleri dalla propria croce, e con cantare ciascuno secondo il proprio rito, alternando», disposizioni però che furono oggetto di controversie[104].
Dall’osservazione degli “ostensori” recentemente esposti alla mostra Tracce d’Oriente emerge la diversa soluzione adottata per la teca espositiva che si fa quadrangolare[105] poiché doveva accogliere le “Sacre Specie”, il pane generalmente tagliato in forma rettangolare o quadrata, o circolare[106] secondo gli schemi dell’ostensorio a disco raggiato la cui tipologia in uso dalla metà del XV secolo, allude all’identificazione simbolica dell’Eucaristia con il sole, secondo il versetto biblico “in sole posuit tabernaculum suum” (Salmi, XVIII, 5)[107].
Fin dalla sua prima affermazione, l’ostensorio è accomunato, sia lessicalmente che morfologicamente, al reliquiario con cui condivide la funzione di contenitore di sacre specie, considerando per analogia l’ostia consacrata la più alta reliquia[108].
È stata più volte chiarita e sottolineata l’evoluzione di questo sacro contenitore che vede principalmente distinguersi le tipologie di ostensorio architettonico[109], a lungo perdurante in Sicilia anche nella sua forma monumentale, e di ostensorio raggiato[110], che ebbe la sua esplosione nel Seicento.
Le due tipologie appaiono riunite negli ostensori dell’Eparchia di Piana degli Albanesi dove radi raggi si dipartono da un ricettacolo quadrangolare di foggia architettonica assimilabile alle quadrature pittoriche settecentesche. Il riferimento trova anche una sua giusta logica nella familiarità del fedele di rito bizantino con la venerazione delle icone, delle immagini sacre definite dai teologi finestre sul mistero «varchi per immettersi in dimensioni diverse dall’umano, luoghi all’interno dei quali si penetra solo in virtù della contemplazione, con la speranza di trovare risposte ai misteri della vita e della morte, della fede e della sofferenza, richiamandosi alla mymesis, ossia alla testimonianza della fede attraverso l’ispirazione al modello originario»[111]. L’ostia posta entro una cornice si fa icona da adorare, e da cui ricevere la luce divina emanata dai raggi che la circondano.
Appartengono alla tipologia degli ostensori raggiati ma con ricettacolo architettonico i due esemplari esposti in mostra, provenienti dalle chiese di San Giorgio di Piana degli Albanesi e di San Nicolò di Mira di Mezzojuso[112].
Il manufatto della chiesa di San Giorgio di Piana degli Albanesi[113] (fig. 18), in argento e argento dorato, con base gradinata e polilobata ornata da motivi fitomorfi e con teca quadrangolare, reca il marchio della città di Palermo, l’aquila a volo alto con la sigla RUP ed il marchio del console GC24, da riferire a Giuseppe Cristadoro che ricopre la più alta carica all’interno della maestranza dal 7 luglio 1721 al 3 luglio 1725[114].
L’ostensorio della chiesa di San Nicolò di Mira di Mezzojuso (fig. 19), con base tripartita da volute e caratterizzato da un angelo che sorregge la teca quadrangolare, è opera di argentiere palermitano del 1735[115]. L’opera, citata in un inventario del 1849 tra i giogali della chiesa dedicata al Santo[116], reca, infatti, l’aquila di Palermo a volo alto e il punzone AG735 da riferire ad Antonino Gulotta in carica dall’8 luglio 1735 al 26 giugno 1736[117]. L’identità dell’abile argentiere si cela dietro la sigla GIF. Splendido esempio di ostensorio, classificato da Benedetta Montevecchi come architettonico, è la perduta opera del XVIII secolo della Cattedrale di San Demetrio di Piana degli Albanesi[118].
Simile impostazione tipologica e stilistica presenta l’ostensorio con San Michele Arcangelo della chiesa di S. Maria Odigitria di Piana degli Albanesi, realizzato nel 1748 da un anonimo argentiere palermitano[119].
Certamente legati alla devozione della comunità latina dell’Eparchia sono i due ostensori raggiati custoditi nel Museo Diocesano “Mons. Giuseppe Perniciaro” di Piana degli Albanesi. Il più antico, riccamente decorato con motivi fitomorfi ed aggettanti testine di cherubini alate (fig. 20), presenta una raggiera, formata dall’alternarsi di lance e fiamme, culminante con elementi stellari[120], analogamente alla decorazione terminale dell’ostensorio di Palazzo Abatellis prodotto dalle maestranze trapanesi del corallo[121]. L’opera in esame reca l’aquila a volo basso, il punzone del console del 1698-1699 Virginio Cappello (V.C.98)[122] e le iniziali dell’argentiere FM.
L’altro manufatto[123] (fig. 21), ancora pervaso da decori secenteschi, è più tardo, ha impresso infatti lo stemma di Palermo con l’aquila a volo alto, la sigla del console Nicola Lugaro, accompagnata dalle ultime tre cifre della data 1715 (NL715)[124].
Dalla chiesa di San Vito dello stesso centro proviene l’ostensorio con teca circolare, vidimato nel 1739 dal console Giovanni Costanza, da attribuire, come la croce astile della Cattedrale di San Demetrio, all’argentiere palermitano Antonino Nicchi[125]. Il manufatto, analogamente al citato calice, reca alla base le Virtù Teologali, Fede, Speranza e Carità, mentre il fusto è caratterizzato da una microscultura di un angelo con funzione di raccordo tra teca e base, che rievoca quelli posti a sostegno del sarcofago di Santa Rosalia[126]. Tale soluzione è stata adottata in svariate opere prodotte tra il XVII e il XVIII secolo, tra cui nel reliquiario dei Ss. Pietro e Paolo della Cappella Palatina di Palermo, ove una figura angelica regge un vaso da cui diparte una composizione circolare di fiori e foglie contenente le reliquie dei santi[127].
Impreziosisce l’ostensorio di Piana l’inserimento nella raggiera di una sculturina raffigurante il volto di Cristo in corallo. L’uso del prezioso elemento marino per la decorazione di parati e oggetti liturgici non è soltanto dettato dal perdurare del gusto barocco, quanto alla sua simbologia il cui valore apotropaico, che nel mondo classico affondava le sue radici nel mito di Medusa dall’anguiferum caput, tramandato nelle Metamorphoses di Ovidio, veniva reinterpretato dalla cultura tardo-antica secondo principi cristologici, quale rappresentazione del salvifico sangue di Cristo[128].
Un angelo con le ali spiegate è inserito anche come elemento di raccordo tra il fusto ad andamento tortile e la fitta raggiera nell’ostensorio del 1776-1777 del palazzo arcivescovile di Monreale (fig. 22), proveniente dalla chiesa di San Gaetano della cittadina normanna[129]. L’opera appartiene ad una diffusa tipologia che trova significativi esempi nell’ostensorio del 1764 del Museo Diocesano di Palermo ed in quello della Chiesa Madre di Polizzi Generosa del 1775-1776[130].
L’ostensorio raggiato con teca quadrata della chiesa di rito greco di San Nicolò di Mira di Mezzojuso[131] (fig. 23), realizzato da argentiere siciliano del 1813, aderisce al gusto neoclassico che semplificò e irrigidì le forme, non mutandone sostanzialmente le tipologie fondamentali. L’opera presenta una base mistilinea con scene bibliche tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento e fusto collegato alla raggiera da un angelo nell’atto di benedire, secondo la tradizione greca, accostando il pollice e l’anulare. Un esemplare più antico con teca quadrata era l’ostensorio del secolo XVIII della Cattedrale di San Demetrio di Piana degli Albanesi, purtroppo trafugato[132].
La teca quadrangolare compare sovente anche nei reliquiari del XVIII secolo detti a palmetta, come nel reliquiario di San Vito dell’omonima chiesa di Piana degli Albanesi (fig. 24), citato nell’inventario stilato in occasione della Visita Pastorale del cardinale Francesco Giudice e databile al primo decennio del XVIII secolo[133], probabilmente eseguito da Salvatore Calascibetta o Calaxibetta, attivo a Palermo dal 1705 fino al 1747[134]. Il console della maestranza è Giacinto Omodei che in tale periodo ricoprì più volte la prestigiosa carica[135]. Il ricettacolo della reliquia è inglobato in una ricca decorazione floreale, tra cui spiccano anemoni e tulipani, che ritroviamo in molteplici espressioni artistiche del periodo, ne sono un significativo esempio gli splendidi marmi mischi siciliani.
In Episcopio si custodisce anche una pregevole croce benedizionale[136] (fig. 25) utilizzata il giorno dell’Epifania. Dopo il solenne Pontificale, infatti, l’Eparca, il clero e i fedeli si recano in processione presso la fontana secentesca dei Tre cannoli, commissionata dai Giurati e ubicata nella piazza principale, e al canto Nё Jordan rievocano la discesa dello Spirito Santo sul Cristo dopo il battesimo. Il Vescovo immerge nell’acqua benedetta della fontana la croce e il candelabro a tre ceri, mentre dal tetto della chiesa dell’Odigitria, viene fatta scendere una colomba bianca[137]. Durante la cerimonia, sulla fontana viene posta una tela dipinta da Pietro Antonio Novelli, raffigurante proprio il Battesimo di Cristo nel fiume Giordano [138].
L’opera in esame con struttura in filigrana d’argento inglobante una crocetta in legno di bosso, scolpito come altri esemplari più antichi presenti nell’Eparchia[139], è da ascrivere ad argentiere del monte Athos della seconda metà del XX secolo[140], che si rifà a modelli bizantini più antichi.
La lavorazione della filigrana d’argento risulta ampiamente documentata anche in Sicilia. A Messina è attestata già nel XVII secolo grazie ad opere punzonate con lo stemma della città, ma un documento del 1699 attesta che era diffusa pure a Palermo[141], notizia confermata anche dal manoscritto dei Capitoli della professione degli orefici e argentieri di questa felice e fedelissima città di Palermo[142].
Tra le più significative opere siciliane realizzate in filigrana su anima di rame dorato sono il pastorale, l’ostensorio e la palmatoria dell’arcivescovo Giovanni Roano di Monreale (figg. 26a, b, c), arricchiti da una varietà di gemme, tra cui rubini, zaffiri e smeraldi[143]. L’ostensorio di impianto secentesco ha base poligonale, fusto con nodo centrale e raggiera con alternanza di lance e fiamme conclusa da elementi floreali, ornati che si riscontrano soprattutto in ostensori di produzione messinese, come ad esempio in quello del 1697 della chiesa delle Giummarre di Sciacca ascritto a Filippo Juvarra[144]. Il raffronto con il calice di filigrana d’argento di Sebastiano Juvarra dell’abbazia di Montecassino[145] ha spinto ad ipotizzare un’attribuzione allo stesso argentiere messinese per le suppellettili in filigrana d’argento del Tesoro del Duomo di Monreale[146].
Citata in un inventario del 1755 assieme alle opere sopra citate è la chiusura di piviale a forma di sole con nel verso lo stemma dell’arcivescovo (fig. 27), descritta come una gioia pettorale d’argento dorata.
Tale monile, osserva Maria Concetta Di Natale, «trova preciso riferimento in un disegno del Llibres dei Passanties dell’Instituto Municipal de Historia de la Ciutad di Barcellona, realizzato nel 1619 dall’orafo Gabriel Macip, che doveva sostenere la prova d’esame»[147].
Tradizionale per l’uso della benedizione è nel rito latino l’aspersorio sempre accompagnato dal secchiello per contenere l’acqua benedetta, variante mobile delle acquasantiere fisse[148]. Tra questi manufatti, generalmente simili tipologicamente, si inserisce il servizio per aspersione della sagrestia del Duomo di Monreale (fig. 28) realizzato verosimilmente dall’argentiere palermitano Benedetto Mercurio nella prima metà del XVIII secolo[149].
Copie di antiche opere sono i candelabri “dicerio” (con due ceri) e “tricerio” (con tre ceri), custoditi in Episcopio, realizzati recentemente dall’argentiere Piero Accardi per sostituire gli esemplari del XIX secolo, trafugati nel 1978[150]. Tali suppellettili, sulle quali vengono fissate delle candele che si incrociano nel punto più alto per formare una sola fiamma, usate dal Vescovo solo nella Liturgia pontificale per benedire il popolo, mentre, con esse, il diacono e l’ipodiacono accompagnano il Vescovo alla sua cattedra. Il dicerio e il tricerio simboleggiano rispettivamente le due nature in Cristo, divina ed umana, e la Trinità santa e sono state introdotti nella liturgia verosimilmente in seguito alle controversie trinitarie e cristologiche dei primi secoli del cristianesimo[151




[1] S. Ferrara, Premessa, in Arte sacra a Mezzojuso, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 1991, p. 9.
[2] Le suppellettili di argenteria sacra di Mezzojuso sono state studiate nel 1991 da Maria Concetta Di Natale, in occasione della mostra Arte sacra a Mezzojuso e pubblicate nel catalogo della mostra, curato dalla stessa; cfr. M.C. Di Natale, Oreficeria a Mezzojuso, in Arte sacra…, 1991, pp. 141-147 e schede di A.M. Campo, pp. 149-171.
Per le suppellettili di Piana degli Albanesi, studiate per la prima volta da Daniela Balsano in occasione della sua tesi di laurea dal titolo
Le suppellettili d’argento delle chiese di Piana degli Albanesi. Documenti e manufatti, a. a. 2004-2005, relatore Ch.ma Prof.ssa Maria Concetta Di Natale, si veda anche R.F. Margiotta, Le suppellettili liturgiche dell’Eparchia di Piana degli Albanesi, in Tracce d’Oriente. La tradizione liturgica greco-albanese e quella latina in Sicilia, catalogo della mostra (Palermo, Palazzo Bonocore, 26 ottobre – 25 novembre 2007), a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2007, pp. 83-99.
[3] A.M. Campo, scheda 21, in Arte sacra…, 1999, p. 169; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo, scheda 1, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 83-84, 171.
[4] Si veda A. Cuccia, Caccamo, i segni artistici, Palermo 1988, p. 79; E. D’Amico, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani. Pittura, vol. II, a cura di M.A. Spadaro, Palermo 1993, ad vocem.
[5] Per notizie sul pittore cfr. L. Sarullo, Dizionario…, 1993, ad vocem.
[6] R.F. Margiotta, Le suppellettili…, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 83-84. Eadem, scheda III.1, in Tesori ritrovati 1968-2008 storia e cultura artistica nell’abbazia di Santa Maria del Bosco di Calatamauro e nel suo territorio dal XII al XIX secolo, Catalogo della Mostra (Monreale-Contessa Entellina, dicembre 2008), a cura di M. Guttilla, Piana degli Albanesi 2009, p. 116.
[7] ASPa, Fondo dei notai defunti, Giorgio Schirò di Piana, St. VI, vol. 26082, cc. 259 v., 368 v.; ASPa, Fondo dei notai defunti, Giorgio Schirò di Piana, St. VI, vol. 26090, c. 24 r. e v.; ASPa, Fondo dei notai defunti, Giorgio Schirò di Piana, St. VI, vol. 26084, c. 382 v.
[8] D. Como, Glossario, in Battesimo, Unzione Crismale, Eucaristia. Tradizione liturgica e spiritualità delle Chiese bizantine, in «Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 133.
[9] Giovanni Crisostomo, Omelia XL in I Cor. 15, 29, in PG, vol. 61, col. 34 B.
[10] D. Como, Glossario, in Battesimo, Unzione Crismale…, in «Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 160.
[11] B. Montevecchi – S. Vasco Rocca, Suppellettile ecclesiastica, Firenze 1987, p. 293.
[12] Ibidem.
[13]M.C. Di Natale, schede II,84 e II,180, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, pp. 243-244, 311; V. Chiaramonte, scheda I,55, in Gloria Patri. L’arte come linguaggio del sacro, catalogo della mostra a cura di G. Mendola, Palermo 2001, p. 137; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 84-85.
[14] D. Como, Glossario, in Battesimo, Unzione Crismale…, in «Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 112.
[15] G. Musacchia, La liturgia del Battesimo e della Cresima della Chiesa orientale, versione dal greco con note mistico-teologiche, Palermo 1878, p. 73.
[16] G. Ferrari, Il sacramento della Cresima nella teologia bizantina, in «Oriente cristiano», a. V, n. 1, pp. 29-34.
[17]Ibidem.
[18]R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo, scheda 3, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 84, 173. Le opere sono riprodotte anche in Arbёreshё. Storia luoghi e simboli dell’Eparchia di Piana degli Albanesi, Piana degli Albanesi 2003, p. 9.
[19] D. Como, L’eparchia di Piana degli Albanesi. Note Storiche, in Arbёreshё…, 2003, pp. 16, 18.
[20] S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo, saggio introduttivo di M.C. Di Natale, Palermo 1996, p. 65.
[21] G. Chatziemmanouil, La Divina Liturgia. “Ecco io sono con voi… sino alla fine del mondo”, traduzione e presentazione di A. Ranzolin, Città del Vaticano 2002, p. 56.
[22]D. Como, Glossario, in Battesimo, Unzione Crismale…, in «Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 136. Si veda anche G. Chatziemmanouil, La Divina Liturgia…, 2002, p. 68.
[23] B. Montevecchi – S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, p. 142.
[24] Il pane della proposizione o dell’offerta simboleggia «la straordinaria ricchezza della bontà di Dio, ossia il fatto che il Figlio di Dio si sia fatto uomo e abbia offerto se stesso in sacrificio e oblazione… per la vita e la salvezza del mondo». Cfr. Germano di Costantinopoli, Storia ecclesiastica e contemplazione mistica, PG 98, 397A.
[25] D. Como, Glossario, in Battesimo, Unzione Crismale…, in «Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 149.
[26] D. Como, Glossario, in Battesimo, Unzione Crismale…, in «Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 101.
[27] D. Balsano, Le suppellettili d’argento…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e D. Balsano, scheda 19, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 85, 190.
[28] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 77.
[29]ASPa, Fondo dei notai defunti, Schirò Pitracca Giuseppe di Contessa Entellina, st. VI, vol. 21004, c. 41 r.
[30]G. Chatziemmanouil, La Divina Liturgia…, 2002, p. 56.
[31] D. Balsano, Le suppellettili d’argento…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e D. Balsano, scheda 6, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 85, 177.
[32] S. Anselmo, scheda II, 27, in Polizzi. Tesori di una città demaniale, “Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo”, collana diretta da M.C. Di Natale, n. 4, Caltanissetta 2006, p. 82.
[33] R.F. Margiotta, Alcuni esempi di argenteria sacra a Bisacquino, in T. Salvaggio, Bisacquino. Frammenti di memorie, Palermo 2006, p. 124; Eadem, Tesori d’arte a Bisacquino, “Quaderni di museologia e storia del collezionismo”, collana di studi diretta da M.C. Di Natale, n. 6, Caltanissetta 2008, pp. 107-108.
[34] S. Barraja, Gli orafi e argentieri attraverso i manoscritti della maestranza, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, p. 676.
[35] M. Vitella, schede 15 e 19, in Gli argenti della Maggior Chiesa di Termini Imerese, con saggio introduttivo di M.C. Di Natale, Termini Imerese 1996, pp. 78-79, 83-85.
[36] S. Anselmo, scheda II, 30, in Polizzi…, 2006, p. 83.
[37] Cfr. G. Cusmano, schede 15 e 18, in Argenteria sacra a Ciminna dal Cinquecento all’Ottocento, Palermo 1994, pp. 15, 19; I. Barcellona, schede 2, 4, 5, in Ori argenti e stoffe di Maria SS. dei Miracoli. Mussomeli tra culto e arte, Caltanissetta 2000, pp. 123, 125, 126.
[38] A. Scarpulla, Argenti e paramenti sacri delle chiese di Marineo, Palermo 2000, pp. 17-18; G. Ingaglio, scheda 139, in Splendori…, 2001, p. 451.
[39] M.C. Di Natale, Dallo scriptorium al Tesoro di S. Maria La Nuova, in L’anno di Guglielmo. Monreale, percorsi tra arte e cultura, a cura di A. Gerbino, Palermo 1989, p. 199; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e L. Sciortino, scheda 16, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 85, 86, 187; R. Bernini, scheda 9, in Argenti e cultura Rococò nella Sicilia Centro Occidentale 1735-1789, catalogo della mostra (Lubecca, 21 ottobre 2007 – 6 gennaio 2008), a cura di S. Grasso – M. C. Gulisano, Palermo, p. 173.
[40] M.C. Di Natale, Gli argenti in Sicilia tra rito e decoro e scheda II, 177, in Ori e argenti…, 1989, pp. 158, 309-310; Eadem, I tesori nella contea dei Ventimiglia. Oreficeria a Geraci Siculo, Palermo 2006, p. 54. Per la decorazione a stucco degli oratori palermitani si veda P. Palazzotto, Palermo. Guida agli oratori, presentazione di D. Garstang, Palermo 2004.
[41] M.C. Di Natale, scheda II, 177, in Ori e argenti…, 1989, pp. 309-310; M. Vitella, scheda 27, in Gli argenti…, 1996, pp. 94-95; Idem, scheda 27, in Splendori…, 2001, p. 465.
[42] Cfr. R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e L. Sciortino, scheda 16, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 85, 86 187.
[43] M. Vitella, scheda II.28, in Il Tesoro nascosto. Gioie e argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale e V. Abbate, Palermo 1995, pp. 230-231; R. Vadalà, schede 19 e 20, in Segni mariani nella terra dell’Emiro. La Madonna dell’Udienza a Sambuca di Sicilia tra devozione e arte, a cura di M.C. Di Natale, Sambuca di Sicilia 1997, pp. 89-90.
[44] M.C. Di Natale, Dallo scriptorium…, in L’anno di Guglielmo…, 1989, p. 199; V. Chiaramonte, scheda I, 61, in Gloria Patri…, 2001, p. 144; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e L. Sciortino, scheda 22, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 86, 193.
[45] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 80.
[46] Con il termine discario è anche chiamato il piatto sul quale sono posti i pani dell’artoclasia, che vengono distribuiti ai fedeli durante la veglia notturna. Cfr. D. Como, Glossario, in Battesimo, Unzione Crismale…, in «Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 116.
[47] D. Como, Glossario, in Battesimo, Unzione Crismale…, in «Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 103. Si veda anche B. Montevecchi – S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, p. 141.
[48] Cfr. N. Zichì, Le opere d’arte della chiesa di Maria SS.ma della Favara di Contessa Entellina, a. a. 2005-2006, relatore Ch.ma Prof.ssa M.C. Di Natale.
[49] Cfr. A. Zichì, Le opere d’arte della chiesa della Santissima Annunziata e San Nicolò di Contessa Entellina, a. a. 2005-2006, relatore Ch.ma Prof.ssa M.C. Di Natale.
[50] B. Montevecchi – S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, pp. 143, 146.
[51] D. Balsano, Le suppellettili…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e D. Balsano, scheda 2, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 86, 172.
[52]M.C. Di Natale, Il Tesoro…, 2000, p. 31.
[53] D. Balsano, Appendice Documentaria, in Le suppellettili…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005.
[54] Per l’iconografia del Santo cfr. M.C. Di Natale, San Giorgio nella cultura artistica siciliana, in R. Cedrini – M.C. Di Natale, Il Santo e il drago, Palermo 1993.
[55] Cfr. R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e D. Balsano, scheda 2, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 86, 172.
[56] R.F. Margiotta, scheda I, 2, in S. Anselmo - R.F. Margiotta, I tesori delle chiese di Gratteri, “Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo”, collana diretta da M.C. Di Natale, n. 2, Caltanissetta 2005, pp. 37, 38.
[57] M.C. Di Natale, scheda II, 19, in Ori e argenti…, 1989, p. 192.
[58] Cfr. A.M. Campo, scheda 8, in Arte sacra…, 1991, p. 156; A. Pantano, scheda III, 13, in Fate questo in memoria di me. L’Eucaristia nell’esperienza delle chiese di Sicilia, a cura di G. Ingaglio, Agrigento 2005, pp. 131-132. Si veda anche R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo, scheda 8, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 86, 87, 179.
[59] G. Travagliato, scheda II, 30, in Gloria Patri…, 2001, pp. 200-201.
[60] B. Montevecchi – S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, pp. 127-132.
[61] G. Valentini, Mostra delle iconi a Piana degli Albanesi 1957-58, Palermo 1958, p. 78; C. Valenziano (a cura di), Mostra delle iconi, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 1980, fig. n. 63. R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo, scheda 25, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 87, 196. Anche Benedetta Montevecchi ha studiato l’opera in esame includendola tra i reliquiari a pisside (cfr. B. Montevecchi – S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, p. 167).
[62] Cfr. A.M. Campo, scheda 20, in Arte sacra…, 1991, p. 168. Si veda anche R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo, scheda 25, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 87, 196.
[63] M. Russo, Le suppellettili ecclesiastiche, in Pro mundi vita. Eucaristia e arte nel Duomo di Siracusa, Siracusa 2000, p. 83 e V. Di Piazza, scheda 160, in Splendori…, 2001, p. 465.
[64] D. Ferrara, scheda III.35, in M. Vitella, Il Tesoro della Chiesa Madre di Erice, premessa di M.C. Di Natale, Trapani 2004, p. 118.
[65] B. Montevecchi – S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, p. 124.
[66] M.C. Di Natale, Dallo scriptorium…, in L’anno di Guglielmo…, 1989, p. 199; V. Chiaramonte, scheda I, 62, in Gloria Patri…, 2001, p. 145; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e L. Sciortino, scheda 20, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 87, 191; R. Bernini, scheda 49 , in Argenti e cultura Rococò nella Sicilia Centro Occidentale 1735-1789, catalogo della mostra (Lubecca, 21 ottobre 2007 – 6 gennaio 2008), a cura di S. Grasso – M. C. Gulisano, Palermo, pp. 353-354.
[67] Per l’iconografia del santo cfr. M. Liverani, in Biblioteca Sanctorum, vol. XI, Roma 1968, ad vocem.
[68]Cfr. M.C. Di Natale, L’Immacolata nelle arti decorative in Sicilia e R. Vadalà, Catalogo delle opere, in Bella come la luna pura come il sole. L’Immacolata nell’arte in Sicilia, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale e M. Vitella, Palermo 2004, pp. 78-79, a cui si rimanda per la precedente bibliografia. Si veda anche M.C. Di Natale, Il museo diocesano di Palermo, Palermo 2006, pp. 59-60.
[69] M.C. Di Natale, I monili della Madonna della Visitazione di Enna, nota introduttiva di T. Pugliatti, con un contributo di S. Barraja, appendice documentaria di R. Lombardo e O. Trovato, Enna 1996, p. 54. Per lo studioso francese M. Devoucoux (Etudes d’archeologie traditionelle, Parigi 1957), il pellicano è emblema di quella “natura umida” che, secondo la fisica antica, scompariva con l’effetto del calore per rinascere in inverno, simboleggiando la resurrezione di Cristo.
[70] M.C. Di Natale, Le croci dipinte in Sicilia. L’area occidentale dal XIV al XVI secolo, introduzione di M. Calvesi, Palermo 1992, p. 47.
[71] M.C. Di Natale, Il Tesoro della Matrice nuova di Castelbuono nella contea dei Ventimiglia, “Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo”, collana diretta da M.C. Di Natale, n. 1, Caltanissetta 2005.
[72] M.C. Di Natale, Il Tesoro…, 2005, p. 38. Si veda anche M.V.G. Carapezza, Tradizioni di Sicilia: la festa di San Calogero a Petralia Sottana (PA), Palermo 2004, p. 33.
[73] S. Barraja, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, vol. IV, Arti Applicate, a cura di M.C. Di Natale, in c. d. s., ad vocem. Cfr. pure M.C. Di Natale, Le suppellettili liturgiche d’argento del tesoro della Cappella Palatina di Palermo, Prolusione all’Inaugurazione dell’Anno Accademico 1998-99, 281o dalla fondazione dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere e Arti, già del Buon Gusto di Palermo, Palermo 1998, p. 51.
[74] M.C. Di Natale, scheda 40, in Il Tesoro…, 2005, pp. 94-95.
[75] R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e L. Sciortino, scheda 23, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 87, 88, 194.
[76] G. Fatta – T. Campisi, La costruzione della Real Casina di Ficuzza, in Il barocco e la regione corleonese, atti della giornata di studio (Chiusa Sclafani, 5 ottobre 1997), a cura di A.G. Marchese, introduzione di M. Giuffrè, Palermo 1999, pp. 169-230; G. Giardina, Il bosco della Ficuzza, in Corleone, coll. Viaggio in Sicilia, Palermo 2000, p. 26.
[77] D. Como, Glossario, in Battesimo, Unzione Crismale…, in «Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, pp. 124-125.
[78]R.F. Margiotta, Le suppellettili…, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 88. L’opera è riprodotta anche in Arbёreshё…, 2003, p. 22.
[79] Cfr. M.C. Di Natale, Iconografia del Crocifisso, in Arte sacra…, 1991, p. 63. Si veda anche Eadem, infra.
[80] D. Como, Glossario, in Battesimo, Unzione Crismale…, in «Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 125.
[81] R.F. Margiotta, Le suppellettili…, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 88. Eadem, scheda III.4, in Tesori ritrovati…, 2009, p. 118.
[82] A. Schirò, Memorie storiche intorno alle origini e vicende di Contessa Entellina, Palermo 1902, p. 49.
[83] L’incensazione durante i riti del battesimo assume il significato di mezzo di espiazione (cfr. G. Musacchia, La liturgia del Battesimo…, 1878, p. 78), mentre fatta sui doni indica il rispetto e la venerazione che a questi vengono attribuiti (N. Gogol, Meditazioni sulla Divina Liturgia, Palermo 1973, p. 31). Il sacerdote utilizza l’incenso anche nella parte finale della Proscomidia o Preparazione per riempire la chiesa di profumo e salutare tutti i presenti, «così come gli antichi popoli di Oriente usavano offrire agli ospiti non appena entravano nelle loro case, di che lavarsi e profumarsi» (N. Gogol, Meditazioni…, 1973, p. 31).
[84] D. Como, Glossario, in Battesimo, Unzione Crismale…, in «Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, pp. 131. «Il fumo odoroso – scrive San Germano – indica il profumo che precede lo Spirito Santo» (Storia ecclesiastica e contemplazione mistica, PG 98, 400C). San Simeone di Tessalonica per spiegare il significato dell’incenso scrive: «Indica la grazia e il dono e, ancora, il profumo dello Spirito provenienti dal cielo, riversati nel mondo attraverso Gesù Cristo e ricondotti di nuovo al cielo attraverso di lui» (Sulla sacra liturgia, 96, PG 155, 288C – 289A).
[85] R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e L. Sciortino, scheda 18, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 88, 189.
[86] S. Riccobono, in L. Sarullo, Dizionario…, 1993, ad vocem.
[87]D. Balsano, Le suppellettili…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e D. Balsano, scheda 14, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 88, 89, 185.
[88] M.C. Di Natale, Le Croci…, 1993, p. 111.
[89] M.C. Di Natale, Committenza e devozione. Arte decorativa nel Monastero benedettino del Rosario di Palma di Montechiaro, in Arte e spiritualità nella terra dei Tomasi di Lampedusa. Il monastero benedettino del Rosario di Palma di Montechiaro, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale e F. Messina Cicchetti, Palma di Montechiaro 2002, p. 96.
[90] S. Barraja, Gli orafi…, in Splendori…, 2001, p. 675.
[91] M. Accascina, I marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, Busto Arsizio 1976, p. 57.
[92] M.C. Di Natale, Committenza e devozione…, in Arte e spiritualità…, 2002, p. 96.
[93] R.F. Margiotta, Le suppellettili…, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 89, 90.
[94]Cfr. Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2003.
[95] R. Margiotta, scheda II.35, in Materiali preziosi…, 2003, p. 148.
[96] D. Como, Glossario, in Battesimo, Unzione Crismale…, in «Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 145. Si veda anche P. Manali (a cura di), Piana degli Albanesi Hora E Arbёreshёvet, Palermo 2000, p. 30.
[97] D. Guillaume, Il valore simbolico dei paramenti sacri, in «Oriente cristiano», a. XXIX, nn. 1-2, gennaio-giugno 1989, p. 25.
[98] M. Guttilla, Temi e modelli della pittura siciliana nel Settecento. Gli esempi di Mezzojuso, in Arte sacra…, 1991, pp. 85-86.
[99] Cfr. L. Sarullo, Dizionario…, 1993, ad vocem.
[100] G. Travagliato, scheda I,68, in Gloria Patri…, 2001, p. 153; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e L. Sciortino, scheda 17, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 90, 188.
[101] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 76.
[102] G. Mendola, Inediti d’arte nella diocesi di Monreale, in Gloria Patri…, 2001, p. 24.
[103] R.F. Margiotta, Le arti applicate nell’abbazia di Santa Maria del Bosco di Calatamauro. Note storiche e documenti, in L’abbazia di Santa Maria del Bosco di Calatamauro, tra memoria e recupero, Atti del convegno di studi (Chiusa Sclafani e Santa Maria del Bosco), a cura di A.G. Marchese, introduzione di C. Naro, Palermo 2006, pp. 299, 315.
[104] G. Millunzi, Prospetto Storico Dell’Archidiocesi di Monreale. Palazzo Adriano, in «Bollettino Ecclesiastico della Archidiocesi di Monreale», agosto-settembre 1913, n. 8-9, pp. 54-55.
[105] R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo, D. Balsano schede 11, 13, 24, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 182, 184, 195.
[106] R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo, D. Balsano schede 7, 10, 15, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 178, 181, 186.
[107] B. Montevecchi – S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, pp. 115-117, 121.
[108] B. Montevecchi – S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, p. 115.
[109] Tra i tanti esempi di ostensori architettonici presenti in Sicilia, molti dei quali di derivazione gotico-catalana, si ricorda la custodia monumentale dei Gili del 1534-40 del Duomo di Enna, oggi al Museo Alessi (cfr. M.C. Di Natale, Oreficeria e argenteria nella Sicilia occidentale al tempo di Carlo V, in Vincenzo degli Azani da Pavia e la cultura figurativa in Sicilia nell’età di Carlo V, catalogo della mostra a cura di T. Viscuso, Siracusa 1999, p. 76, che riporta la precedente bibliografia. Si veda anche V.U. Vicari, scheda III,4, in Fate questo in memoria di me. L’Eucaristia nell’Esperienza delle Chiese di Sicilia, catalogo della mostra a cura di G. Ingaglio, Catania 2005, pp. 125-126) e quella della Matrice Vecchia di Castelbuono del 1532 di Bartolomeo Tantillo, artista attivo nelle Madonie (cfr. M.C. Di Natale, Il Tesoro…, 2000, pp. 25-28).
[110] Pregevole esempio di ostensorio raggiato è quello in argento dorato, gemme e smalti, della chiesa del Gesù di Casa Professa di Palermo con alla base le Virtù teologali, che ingloba nel fusto la figura di Sant’Ignazio (cfr. M.C. Di Natale, scheda II, 153, in Ori e argenti..., 1989, pp. 289, 230; Eadem, scheda 152, in Splendori…, 2001, pp. 461-462).
[111]M.V. Sirchia, Le sacre icone, in Arbёreshё…, 2003, p. 31.
[112] R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo, D. Balsano schede 11, 13, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 182, 184.
[113] Cfr. D. Balsano, Le suppellettili d’argento…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e D. Balsano, scheda 11, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 182.
[114] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 73.
[115] A.M. Campo, scheda 4, in Arte sacra…, 1991, p. 152; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo, scheda 13, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 184.
[116] Si veda A.M. Campo, scheda 4, in Arte sacra…, 1991, p. 152.
[117] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 75.
[118] B. Montevecchi – S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, p. 119, fig. 64.
[119] G. Davì, scheda 84, in Il Tesoro dell’Isola. Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, catalogo della mostra a cura di S. Rizzo, vol. II, Catania 2008, pp. 854-855.
[120] R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo, scheda 7, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 178.
[121] V. Abbate, scheda 85, in L’arte del corallo in Sicilia, catalogo della mostra a cura di C. Maltese e M.C. Di Natale, Palermo 1986, pp. 79-107.
[122] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 70.
[123] R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo, scheda 10, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 181.
[124] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 72.
[125] Cfr. D. Balsano, Le suppellettili d’argento…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e D. Balsano, scheda 15, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 186.
[126] G. Mendola, Tra legni e metalli. L’attività documentaria di Giancola Viviano, in in Splendori…, 2001, p. 646.
[127] M.C. Di Natale, scheda II, 86, in Ori e argenti…, 1989, pp. 245, 246; Eadem, scheda 108, in Splendori…, 2001, pp. 429-430.
[128] M.C. Di Natale, Il corallo da mito a simbolo nelle espressioni pittoriche e decorative in Sicilia, in L’arte del corallo…, 1986, pp. 79-107.
[129] R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e L. Sciortino, scheda 21, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 192.
[130] Cfr. M. Vitella, scheda 13, in Capolavori…, 1998, p. 119; S. Anselmo, scheda II, 55, in Polizzi…, 2006, pp. 97-98.
[131] A.M. Campo, scheda 16 , in Arte sacra…, 1991, p. 164 e R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo, scheda 24, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 93,195.
[132] D. Balsano, Appendice Documentaria, in Le suppellettili…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005.
[133] D. Balsano, Le suppellettili d’argento…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e D. Balsano, scheda 9, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 93,180.
[134] S. Barraja, Gli orafi…, in Splendori…, 2001, p. 434.
[135] S. Barraja, I marchi…, 1996, pp. 71-72.
[136] R.F. Margiotta, Le suppellettili…, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 93-95. L’opera è riprodotta anche in Arbёreshё…, 2003, p. 20.
[137] La cerimonia è ripetuta in tutti i centri dell’Eparchia. A Palazzo Adriano, ad esempio, si svolge in Piazza Umberto dove il sacerdote benedice le acque della fontana ottagonale del 1608 (B. De Marco Spata, I tre Padri della Fontana Oscar, in «Palermo», 6 dicembre 2003); P. Manali (a cura di), Piana degli Albanesi Hora E Arbёreshёvet, Palermo 2000, pp. 32, 33.
[138]Il 26 luglio 1604 Pietro Antonio Novelli si obbligò con Giuseppe e Michele Matranga, rettori della confraternita di San Giovanni degli Orfani di Piana, a dipingere quattro quadri, tre affreschi e un quarto quadro ad olio, per l’omonima cappella dentro la chiesa di San Giorgio (cfr. G. Millunzi, Dei pittori monrealesi Pietro Antonio Novelli e Pietro Novelli suo figlio, in «Archivio Storico Siciliano», Palermo 1913, p. 111). I tre affeschi sono andati distrutti con la cappella, mentre il quadro ad olio raffigurante il Battesimo di Gesù è tuttora custodito presso il Collegio di Maria dello stesso centro. Cfr. P. Manali (a cura di), Piana…, 2000, pp. 61.
[139] M.C. Di Natale, L’iconografia della crocifissione: dalla croce dipinta a quella benedizionale, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 67-77.
[140] R.F. Margiotta, Le suppellettili…, in Tracce d’Oriente…, 2007, p. 93. L’opera è riprodotta anche in Arbёreshё…, 2003.
[141] M.C. Di Natale, scheda 114, in Splendori…, 2001, p. 434; E. D’Amico, in Catalogo dei documenti, in Ori e argenti…, 1989, p. 394.
[142] S. Barraja, La maestranza degli orafi e argentieri di Palermo, in Ori e argenti…, 1989, p. 372; Idem, I marchi…, 1996, p. 49.
[143]III Mostra d’arte sacra, Rassegna Regionale retrospettiva del paramento e dell’arredo, Caltanissetta 1954; S. Giordano, Lo splendore di Monreale, Palermo 1988, p. 90; M.C. Di Natale, Dallo scriptorium…, in L’anno di Guglielmo…, 1989, p. 199; M.C. Di Natale, scheda II, 19, in Ori e argenti…, 1989, p. 192; L. Sciortino, scheda 1, in La cappella Roano nel Duomo di Monreale: un percorso di arte e fede, “Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo”, collana diretta da M.C. Di Natale, n. 3, Caltanissetta 2006, p. 95; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e L. Sciortino , scheda 4, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 93,174-175.
M.C. Di Natale, scheda 114, in Splendori…, 2001, p. 465.
[144] Cfr. M.C. Di Natale, scheda II. 106, in Ori e argenti…, 1989, p. 257.
[145] C. Catello, Argenteria sacra di Montecassino, in “Arte cristiana”, 1983, p. 101, fig. 17.


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