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lunedì 19 settembre 2011

Idv. Legalità e questione morale non legano con familismo e nepotismo

Antonio Di Pietro non si può dire che sia il politico ideale di cui un paese civile, avanzato, necessiti. E’ un populista, spesso un demagogo, e sviluppa discorsi che non è difficile catalogare di “destra”; tuttavia nella nostra Italia –a leggere i giornali- viene catalogato come leader di una componente del centro-sinistra, che purtroppo in Italia non esiste più da un bel pò di anni.
Al di là della sua collocazione, delle sue idee non sempre chiare, in questi lunghi anni di basso impero berlusconiano e dalemiano, Di Pietro ha avuto molti meriti. Su tutti, l’aver fatto quasi sempre da solo opposizione al Satiro di Arcore.
L’avere svolto il ruolo di “oppositore” in un paese in cui esiste il peggior centrosinistra d’Europa che prende nome –da noi- P.D., ha permesso a Di Pietro, prototipo dello sbirro destrorso, di divenire approdo di molti delusi della gloriosa sinistra di altri tempi.
Avere svolto la “supplenza” di una sinistra che non c’è, non cancella i meriti di un’opposizione dura, a volte colorita e sopra le righe, ma vera.
Il successo dell’Italia dei Valori è legata ai temi della legalità e alla questione morale. Il suo è un elettorato esigente e diffidente. Che, in quanto tale, nulla perdona
Eppure Di Pietro, il supplente di una sinistra scomparsa, sta commettendo l’errore che non gli verrà perdonato: è assurdo che egli ammetta come candidato alle Regionali per il Molise il figlio. Dovesse trattarsi di un figlio con la vocazione politica nel sangue, in una famiglia basta un solo componente in scena scena, gli altri si dedichino ad altro o aspettino che si ritiri il primo.
La nostra è una Repubblica e nelle repubbliche non dovrebbero essere di moda le dinastie che invece sono diffuse nel Pd e nel Pdl (Fassino e moglie, Rutelli e moglie ……, Berlusconi e le sue …).
Di Pietro sta commettendo un autogol politico.
Anche ammesso –lo ripetiamo- che suo figlio rivaleggi per caratura politica con De Gasperi o Einaudi, e sia giunto a tale onore per vie canoniche e non facilitate, tale mossa suona come un atto familistico e padronale. Una berlusconata gradassa, un conato bossista che partorisce la trota...
Che Di Pietro non è nuovo a errori dozzinali lo sappiamo.
I De Gregorio e gli Scilipoti li ha pescati lui, segno che di intuito politico ne possiede quanto un “poliziotto di quartiere”, quale nella sostanza egli è.
Ora è la volta dell’imposizione di suo figlio in lista, “il Trota del Molise“.
L’Italia è in mano ad un premier, a un personaggio raggelante, circondato da mille cricche fameliche e prive di valori (e per capirlo non servivano le intercettazioni). L’opposizione è in mano a sepolcri imbiancati alla D’Alema, Veltroni etc. etc.
In questo quadro un Di Pietro non colmava certamente il vuoto di una “Sinistra dignitosa” ma appariva decisivo per evitare che ciò che capita nei piani superiori resti nella sola conoscenza di coloro che sanno fare solamente “gli affari propri”. Se però pure Di Pietro si da al “familismo” e al “nepotismo” non andremo, noi italiani, da nessuna parte.
Basta! O da questo incubo di occuparsi di “affari propri” nella vita pubblica non usciremo più.

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