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sabato 11 giugno 2011

Nicolò Genovese: nel libro di Napoleone Colajanni "Gli avvenimenti di Sicilia e le loro cause"

VIII.
IL LATIFONDO
La condizione economica dei lavoratori della terra in Sicilia, come dappertutto, è intimamente connessa colla divisione della proprietà rurale e col genere di coltura. Nota la prima, s'intuisce - e del resto vi si accennò - che debba prevalere la grande proprietà e la coltura estensiva; e questa coltura persistente è, poi, la conseguenza della grande proprietà, del latifondo, esistente un po' per ogni dove in Italia, assolutamente prevalente e caratteristico nell'isola. Merita menzione speciale, ma breve perchè l'argomento è già stato trattato da tutti gli scrittori, che si sono occupati delle cose siciliane dal punto di vista economico e sociale.
L'on. Sonnino sulle orme di altri osservatori locali e sulla base di dati statistici - incompleti ed inesatti - sin dal 1876 riconobbe che la proprietà è pochissimo divisa, specialmente nella parte interna e meridionale dell'Isola dove «manca una vera classe di proprietarî piccoli o medi e si salta invece d'un tratto, dal grande proprietario che possiede migliaia di ettari, al piccolo censuario di poche are di terra. La censuazione dell'asse ecclesiastico ha modificato pochissimo queste condizioni della proprietà giacchè la immensa maggioranza di quelle terre è passata tale e quale nelle mani dei grossi proprietari.» (I contadini ecc., pagine 174 e 175).
Il Prof. Basile molti anni or sono constatò che dal 1852 al 1871 il numero dei proprietarî era disceso da 608,601 a 549,957; c'era dunque diminuzione, nonostante il censimento dei beni dell'asse ecclesiastico, da cui si sperava un aumento notevole; e lo stesso Basile riconfermò il fatto doloroso nel 1894.
Il sacerdote Genovese la osservazione generica volle dettagliare per un sito da lui esattamente conosciuto. Egli scrive: «Il comune di Contessa Entellina, in provincia di Palermo, ha un agro di circa 9000 salme di terra (la salma di Contessa corrisponde ad ettari 2,67). Ebbene, quante ne possiede la generalità dei suoi tremila abitanti? Appena 300 salme: precisamente il 3 % di tutto il vasto territorio! E le altre 8700 salme? Non è d'uopo dirlo: eccetto una minimissima porzione spettante a pochi altri piccoli proprietarî, sono tutte possedute da non più che venti benestanti, tra principi, conti, baroni e cavalieri!» (La quistione agraria in Sicilia, Milano 1894).
Il caso di Entella è quello di cento altri comuni; e in qualcuno - ad esempio Terranova, Siculiana, ecc., ecc. - la concentrazione della proprietà in poche mani è maggiore.
Si avverta altresì che la qualifica di proprietario in Sicilia come in Sardegna spesse volte non è che una ironia. Si tratta di proprietà polverizzate o si limita alla proprietà di un lurido tugurio, che serve di abitazione e che non ajuta a vivere. I più di questi proprietarii, osservò l'on. Damiani nel volume dell'Inchiesta agraria dedicato alla Sicilia, sono da considerarsi piuttosto come proletarî.
Sono invero una realtà indiscutibile tutte le tristi conseguenze della esistenza della grande proprietà, del latifondo; conseguenze varie e complesse politiche, economiche, morali, e intellettuali.
«Il latifondo, osserva il Baer, mantiene e conserva una deplorabile dissonanza fra le istituzioni politiche ed amministrative e fra la legislazione civile, che la Sicilia ha comuni al resto d'Italia e le condizioni reali di quella società e della proprietà territoriale. Ed è risaputo che quando siavi tale dissonanza gli effetti delle istituzioni e delle leggi sono alcuna volta nulli, il più soventi perniciosi.» (Il latifondo in Sicilia nella Nuova Antologia, 15 aprile 1883). E la dissonanza nasce dalla mancanza di un numero sufficiente di piccoli e medii proprietarî.
La esistenza della grande proprietà presuppone la correlativa preponderanza numerica di proletariato agricolo: il quale è più infelice dove l'ex feudo, il latifondo è coltivato dal fittabile: peggio ancora se quest'ultimo lo suddivide ad altri gabellotti minori. Allora il salariato è in condizioni peggiori dello schiavo: ed esso mangia quel pane, di cui dalla provincia di Palermo mi si mandarono due campioni, che suscitarono la indignazione di quanti lo videro nella Camera dei deputati e fuori. La sua non è più vita, che oggi possa considerarsi come umana. Non deve sorprendere se insorge e cerca ripetere le Jacqueries; ma deve soltanto far meraviglia che tanto tempo abbia aspettato per ribellarsi!
Il latifondo favorisce il sistema del fitto e genera il gabellotto la cui funzione è tanto esiziale quanto lo è in Irlanda il middleman, che sta tra il landlord e il contadino coltivatore. Intanto dalla scomparsa del gabellotto36, acutamente osserva il Salvioli, se il grande proprietario dovesse dare direttamente le terre in fitto ai contadini poco giovamento questi ne trarrebbero per l'aspra concorrenza, che tra loro si farebbero per ottenere gli spezzoni di migliore qualità e più vicini all'abitato.
Se il sistema del fitto riesce di grave nocumento ai lavoratori e produsse pel passato l'agiatezza ed anche la ricchezza dei gabellotti, che finirono col costituire la parte più forte della borghesia isolana, adesso rovina questa classe di sfruttatori.
Checchè ne dicano e ne pensino alcuni, nella divisione dei prodotti oggi non sono più i fittabili coloro che se la passano più allegramente, poichè in generale il fitto delle terre in Sicilia dal 1860 aumentò del 40 % mentre diminuì sensibilmente il prezzo del frumento, ch'è il prodotto principale. I fittabili, dunque, stanno male37.
Non possono che stare peggio i sub-fittabili, ma coloro che conducono vita veramente inumana sono i contadini o mezzadri, che ricevono la terra di terza mano.
Il gabellotto alla sua volta suddivide il latifondo, ch'è spesso un ex feudo, ad altri; e i sub-gabellotti finalmente danno la terra a mezzadria o la fanno coltivare in economia dai cosidetti jurnatara, - lavoratori alla giornata. Ora la terra, generalmente, non può produrre tanto da mantenere, oltre il fisco che attualmente la fa da leone, il proprietario, il gabellotto, il sub-gabellotto e il contadino; produce ancora meno in Sicilia dove nel latifondo vige la coltura primitiva, estensiva: dove l'aratura è superficiale e la concimazione o manca o è deficientissima per la qualità e per la quantità: dove d'irrigazione non è a discorrere e gli avvicendamenti vi sono irrazionali e il suolo viene sfruttato colla vera agricoltura ladra, come la chiamò il Liebig: dove mancano stalle, case coloniche e financo l'acqua potabile. Molti dunque si devono risentire della deficienza della produzione, rilevata testè dal Combes de Lestrade nel Journal des Economistes, che deve essere ripartita tra tanti consumatori - taluni dei quali prendono più di quanto dovrebbero nello stesso presente regime economico; e più di tutti se ne risentono i contadini ai quali non rimangono, che le briciole.
La coltura si mantiene estensiva e la terra produce poco, perchè il grande proprietario non è stimolato dal bisogno a fare miglioramenti e trasformazioni e per un lungo periodo ha visto anche aumentare fortemente le sue rendite per la concorrenza tra gabellotti, che ha elevato i fitti; nè i miglioramenti di qualsiasi genere potevano e possono farli i gabellotti, che coltivano il latifondo per un brevissimo tempo - la durata dei fitti è al massimo di nove anni, ma più di frequente di quattro o di sei; e molto meno i contadini che vi lavorano a giornata o l'hanno a mezzadria o a terratico solamente per uno o due anni38.
Il latifondo che per mancanza di caseggiati tiene lontani i contadini dalla terra e mantiene questa deserta e priva del tutto di alberi, costringe i primi a vivere in grandi centri producendo queste altre non meno esiziali risultanze:
1. il contadino perde molto tempo nel recarsi ogni giorno dalle città nella campagna e quando vi pernotta, nei pagliai o all'aperto, di estate, vi prende le febbri intermittenti,
2. la solitudine delle campagne e la grande distanza tra i centri abitati favorisce il furto campestre,l'abigeato, il malandrinaggio e il brigantaggio;
3. la coabitazione di contadini e di elementi industriali e commerciali nelle città fa gravare sui primi dei pesi che non dovrebbero sentire - specialmente il dazio di consumo - e mantiene le città o i grossi centri abitati in condizioni igieniche deplorevoli.
L'organizzazione sociale, che fa capo al latifondo dal Baer viene riassunta, infine, così: «un'aristocrazia lontana dalle terre, che possiede e che non conosce, una classe media costituita da pochi esercenti le professioni liberali e da potenti fittajuoli in grande e da coloro, che vivono speculando sulla miseria altrui, ed un numeroso stuolo di poveri coloni e braccianti, è questa l'organizzazione sociale delle regioni dove prevale il latifondo; e non è dessa quella in cui le istituzioni politiche e amministrative della società odierna possano funzionare a pubblico vantaggio, in cui possa trovarsi cooperazione assidua, indipendente, giusta ed efficace agli ufficî del governo nell'amministrazione dei comuni, delle provincie, delle opere pie e fino della giustizia.»
Se il latifondo è in Sicilia ora com'è stato sempre e in ogni luogo pernicioso sorge spontanea la domanda: perchè esso dura da secoli e non scompare mentre è condannato dalla scienza, dal sentimento di giustizia, dall'umanità?
Fu notato che il latifondo dura in Sicilia da moltissimi secoli e preesisteva alla nascita del feudalismo sotto i Normanni. Il barone Benevantano lo fa rimontare ai tempi di Verre nel territorio di Lentini; e il Genovese sull'autorità di Diego Orlando, di Ludovico Bianchini, di Birri, di Palmieri, di Monsignor Lancia di Brolo, di Amari lo riporta non solo ai Romani, ma anche ai Cartaginesi.
Dal fatto di questa lunga durata se n'è voluto argomentare, che il latifondo in Sicilia è qualche cosa di fatale, che si connette alle condizioni fisiche e climatologiche dell'isola. Se ciò fosse vero le disgraziate popolazioni agricole della Sicilia sarebbero condannate eternamente al dolore. Ma vero non è, e lo ha dimostrato il Baer con poche acute osservazioni di fatto.
«Quando si dice che le terre dei latifondi non sono atte ad altra produzione che a quella dei cereali e che al loro spossamento per le replicate colture non possa altrimenti rimediarsi che col lasciarle a pascolo naturale per più anni, si dimenticano tutti i prodigi della coltura intensiva mediante gli avvicendamenti e gl'ingrassi. Le terre sabbiose e pantanose della Prussia orientale sotto un cielo inclemente, sono senza dubbio più sterili di ogni peggior angolo della Sicilia, eppure se ne cava grande profitto. L'agricoltura fiamminga, una delle più perfette del mondo si esercita su terre, che sono il peggior suolo dell'Europa. Il clima ed il terreno presso le città e borgate nelle provincie siciliane ove sono i latifondi non sono per certo diversi da quelli delle terre circostanti, ed intanto le terre prossime alle città sono coltivate con altri sistemi e con eccellenti risultati. Di più in alcuni latifondi, che appartenevano alle corporazioni religiose col censimento si spezzarono e si trasformarono in meglio come attorno a Mazzara e in gran parte della provincia di Trapani: l'osservazione è del Prof. Corleo. Viceversa secondo le diligenti ricerche dell'Amari ventidue grosse città ch'esistevano a' tempi dei Mussulmani nelle provincie di Girgenti, di Trapani e di Palermo sono sparite così che di moltissimi nomi di castelli e ville ricordati negli scrittori di quell'epoca non si ha più traccia; e l'antico territorio di Giato, ora diviso in tre comuni con circa 18 mila abitanti conteneva ai tempi di Guglielmo il Buono una popolazione di 60 mila abitanti con 40 e più villaggi.»
Ecco come negli stessi siti, nonostante la permanenza delle cause fisiche, compare e scompare il deserto rattristante del latifondo coll'alternarsi delle cause sociali.
Gli esempî relativi alla Sicilia sono tassativi e sufficienti a provare il predominio delle cause sociali sulle cause fisiche e climatologiche; ma se occorresse, molti altri di altrove se ne potrebbero trovare, ed altrettanto convincenti, nei libri del compianto De Laveleye e nella grande opera del Reclus sulla geografia.
Se questa fosse una trattazione storica mi dilungherei nello esporre quali furono le cause sociali, che in Sicilia determinarono la creazione e il mantenimento del latifondo; chi vuol conoscerle ricorra al Palmieri e allo stesso Baer bastando al mio assunto l'avere dimostrato l'inesistenza delle cause fisiche, che furono invocate anche da recente da interessati difensori del latifondo. E questa dimostrazione impone al governo l'obbligo di studiare i mezzi per rompere il giogo del latifondo e per avviarlo a benefica trasformazione, e deve infondere altresì nei lavoratori l'energia e la costanza di chiederla colla coscienza che può venire dalla conosciuta possibilità di conseguire il fine che si propongono.

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