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lunedì 6 giugno 2011

Flash sulla nostra Storia: come e perchè sono sorti nel XV e XVI secolo centinaia di paesi nella Sicilia Occidentale

La Sicilia all’inizio dell’età moderna (che convenzionalmente si fa decorrere dalla scoperta dell’America) ha l’esigenza di dover sopperire alla scarsa manodopera.
Gli espedienti che i baroni usano per attirare all’interno dell’isola gente disponibile a dissodare terreni consistono in relativamente vistosi incentivi: la cancellazione dei debiti pregressi ed alcuni vantaggi concessori.
In genere, è questo il periodo in cui i coloni sottoscrivono i «capitoli di fondazione», veri patti agrari che fissano diritti e doveri: devono versare un censo annuo, sono obbligati a lavorare le terre del barone. Ma in cambio avranno un lotto edificabile e qualche volta un piccolo terreno in enfiteusi, dove impiantare un orto ed in taluni casi una vigna.
Nelle colonie greco-albanesi, tutte in provincia di Palermo - da Piana degli Albanesi a Contessa Entellina, da Palazzo Adriano a Mezzojuso - gli abitanti si impegnano a costruirsi da sé una casa in muratura entro tre anni; ma la varietà delle situazioni fra l’un centro e l’altro suggerisce proposte diverse, che riflettono i diversi rapporti di forza: i coloni generalmente vengono attirati su siti già abbandonati da altri, e il barone concede quello che non può negare. Nessuna enfasi quindi sulla bontà baronale o l’accoglienza concessa agli “strenui difensori della fede”. Fede che comunque i coloni sapranno difendere nei nuovi contesti.
Le nuove città presentano una grande varietà di soluzioni urbanistiche, derivanti da un territorio poco uniforme. Il disegno è prevalentemente imperniato su una scacchiera disegnata attorno alla piazza centrale e agli edifici (magazzini, stall e depositi) baronali.
Solo raramente si ha notizia di interventi esterni, come è avvenuto a Paceco: dove, nel 1607, Placido Fardella chiama un architetto spagnolo a disegnare l'impianto urbano.

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