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domenica 3 aprile 2011

In gita coi Mille

ripreso dalla rivista pubblicata a Mezzojuso, diretta da Don Enzo Cosentino, ECO DELLA BRIGNA n. 80/2011

2 Luglio 1960.  In gita per ripercorrere i luoghi della conquista di Palermo da parte dei garibaldini
di Lillo Pennacchio
Tooopàà topàtopàtopà Tooopàà topàtopàtopà Tooopàà topàtopàtopàtopàtopà.
La mattina del 2 giugno 1960 l’appello, per noi scolari di V elementare, lo faceva l’autobus nuovo nuovo della ditta Floria di Vicari, eccezionalmente posteggiato sopra la nostra piazza. La sua voce giungeva fino alle periferie più lontane del paese e metteva in movimento tutti i ragazzini che in quell’anno avevano studiato il Risorgimento e che ora per premio andavano in gita, con i propri maestri e alcuni invitati, a ripercorrere le tappe conclusive della conquista di Palermo da parte dei garibaldini.
Il nostro maestro era Carmelo Lanna. Ci aveva preparati a dovere per quel viaggio e nel corso dell’anno aveva stimolato grandi curiosità in tutti noi, aiutandoci a trovare risposte ai tanti dubbi che naturalmente sorgono se si studia seriamente la storia. Garibaldi poi era un mito per tutti e soprattutto per noi picciutteddi era affascinante leggere delle sue avventure in Europa e in America. Io ero come infatuato del personaggio. Sono nato e cresciuto in Corso Garibaldi e mi ero convinto che la mia strada si chiamasse così perché da lì era passato Garibaldi quando era venuto a Mezzojuso ospite di Nicol Romano nel 1862. Il che è più che plausibile visto che in quella occasione, provenendo a cavallo da Ficuzza, l’ingresso al paese il Generale lo aveva fatto dal lato della zona Terrasco (oggi la chiamiamo Sanremo). Non ricordo chi, ma un mio compagno di allora mi ridicolizzò dicendo, con acume e sarcasmo, che allora Corso Vittorio Emanuele II si sarebbe dovuto chiamare così perche da lì era passato il Re per andare chissà dove e magari i due non è vero che si erano incontrati a Teano, ma alla Fontana Nuova davanti al tabacchino. Topàtopàtopàtopààààà… Ad ogni curva il torpedone si faceva sentire enoi, felici e patriottici, pensavamo alla squilla garibaldina che suonava la carica al Pianto dei Romani di Calatafimi. Non c’era ancora lo stereo sugli autobus, ma le gite si allietavano lo stesso con canti e chitarra. Alla partenza avevamo intonato:

E la bandieeera di tre colooori
E’ sempre stata la più bellaa
Noi vogliamo sempre quella
Noi vogliam la libertà
Noi vogliamo sempre quella
Noi vogliam la libertà
La liibeertàà…
Poi passammo a Marina di Carosone, a Ciuri, ciuri e alla regina delle gite in pullman: Quel mazzolin di fiori.Alla chitarra c’era il maestro Nino Zambianchi, che ci dava le giuste intonazioni con la sua voce alla Teddy Reno. Gibilrossa, sopra Misilmeri e in vista di Palermo sul ciglio orientale della Conca d’oro, fu la prima tappa. Lì, ai piedi dell’Obelisco, apprendemmo dal nostro maestro che in quel luogo si erano radunati garibaldini e picciotti la sera prima dell’attacco a Palermo.
I primi ad arrivare erano stati i giovani reclutati da Giuseppe La Masa nelle nostre zone. C’erano tantissimi mezzojusari fra i volontari pronti al combattimento, che a Gibilrossa accolsero Garibaldi e la colonna garibaldina proveniente da Piana degli Albanesi. Fu lì che Garibaldi, guardando la città che giù a valle si stendeva lungo il mare verso ovest, rivolto a Nino Bixio, aveva pronunciato la famosissima frase: «Nino, domani a Palermo!». Manco a dirlo la frase, tutta intera, diventò una specie di inciuria per tutti i Ninira del nostro paese. Da Gibilrossa, così come aveva fatto l’esercito garibaldino la notte tra il 26 e 27 maggio 1860, scendemmo al Ponte dell’Ammiraglio, importantissimo perché attraverso quel ponte, dopo avere travolto un avamposto borbonico, i patrioti avevano attaccato Porta di Termini, travolte le difese e sciamato  per la Fiera Vecchia fino a Piazza Bologna.
A guardare quel ponte ci sembrò di entrare nella storia. Lo riconoscemmo perché era quello del  manifesto celebrativo del Centenario della spedizione dei Mille, raffigurante il celebre dipinto di Renato Guttuso. Da tanto tempo lo guardavamo affisso sui muri del paese. Percorremmo a piedi il Ponte Ammiraglio e la pavimentazione ci fece sentire come se fossimo a casa nostra. Acciottolato con cuti di fiume come a quel tempo erano quasi tutte le strade del nostro paese. Ancora per poco (purtroppo ?). A Piazza Rivoluzione, per forza di cose, la storia cedette il passo alla retorica risorgimentale e lì ci fu fornita l’interpretazione della statua del Genio di Palermo: un vecchio incoronato, rappresentante la città di Palermo e raffigurato mentre tenta di strapparsi dal petto un serpente che lo azzanna al cuore e che invece è ritenuto metafora del potere borbonico dopo essere stato metafora del potere angioino finito con i Vespri Siciliani. A pochi passi in via Alloro, su una parete esterna della Gancia, una lapide fresca di posa ricordava l’episodio della Buca della Salvezza da dove si erano salvati, un mese prima dell’arrivo dei Mille, un paio di patrioti che si erano rifugiati fra i morti della cripta per sfuggire alla polizia borbonica. Poi, finalmente, come Garibaldi, che vi aveva sistemato il suo quartier generale, entrammo a Palazzo delle Aquile, naturalmente dopo aver letto tutte le lapidi che ricordano le vicende dell’Unità d’Italia, che a quel tempo compiva 100 Anni e che oggi ne compie 150.
Ci sorprese all’interno la statua del poeta Giovanni Meli, seduto con libri sparsi ai suoi piedi. Ci aspettavamo un Garibaldi a cavallo e invece….
Il maestro Lanna prese spunto per una lezioncina semplice e sempre attuale che penso, dopo cinquant’anni, sia ancora da tenere presente come portatrice di un valore assoluto: la cultura fa nascere e crescere i popoli; senza di essa i popoli non si formano e quelli che sperperano il loro patrimonio culturale, svaniscono. Quindi la statua di Giovanni Meli sta benissimo al suo posto nel Palazzo della Municipalità Palermitana.
La sera ci portarono a Monreale. Dopo cento anni c’erano ancora da fare gli italiani. Dopo cento anni di unità gli italiani ancora non si conoscevano bene e la televisione giocava un ruolo importantissimo nel fare diventare storie di tutti anche le storie dei centri più piccoli e meno noti, ma non per questo meno importanti.
Campanile sera. Sfida fra Monreale e Novi Ligure. Una folla spaventosa. Noi ragazzini, a piccoli gruppi con qualcuno più grande, lasciati liberi paisi paisi. Campanile sera era un programma televisivo di grandissimo successo, ideato e condotto dal nostro Mike Bongiorno con Enzo Tortora ed Enza Sampò. La trasmissione si svolgeva in diretta e quindi tutti speravano di affacciare in qualche inquadratura. Il meccanismo del gioco era semplice. Si trattava in pratica di un quiz, con domande rivolte a concorrenti di un paese del Nord Italia e di una località del Sud, alle quali venivano abbinate anche prove atletiche. Stranamente quel tipo di campanilismo più che allontanare avvicinava tra di loro le cittadine protagoniste. Il pubblico veniva a conoscenza della realtà dei paesi italiani; il filmato che dava inizio alla puntata del quiz descriveva il paesaggio, la cultura, le tradizioni e la realtà produttiva dei comuni in gara. Tutta l’Italia guardava il programma e gli italiani si avvicinavano sempre di più ad una lingua comune.
 Quest’anno stiamo festeggiando i 150 anni dell’Unità d’Italia e credo che non siamo stati mai così divisi. L’ignoranza dilaga, si sperperano valori e si cancellano le speranze. Si generano scontri e si erigono barriere. Per beceri scopi politici si sta tentando di creare fratture sempre più insanabili tra Nord e Sud del Paese. Per descrivere certi programmi televisivi si parla di TV spazzatura e la nostra lingua italiana subisce continui attentati da parte di conduttori diventati impuniti produttori di strafalcioni linguistici e cantonate spaventose. Tempo fa ho sentito un cronista televisivo così ignorante da affermare che Viale dei Picciotti a Palermo si chiama così perché si trova nel cuore di un quartiere ad alta densità mafiosa.
Vagli a spiegare che i Picciotti della Storia d’Italia sono quei giovani che rischiarono e in tanti persero la vita. Vagli a spiegare che i Picciotti erano quelli che lottarono sperando in un futuro migliore 150 anni fa e non invece i giovani affiliati a cosa nostra!

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