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lunedì 10 gennaio 2011

La minoranza linguistica del gallo-italico, seconda parte

di Nicola Graffagnini
Aspetti generali della tutela delle minoranze linguistiche

Nella prima parte di questo scritto ho accennato all’insediamento storico della minoranza linguistica comunemente chiamata gallo-italica, dividendo il testo in due parti:
- nella prima parte presentavo l’insediamento geografico delle comunità storicamente insediatesi e parlanti o meno il gallo italico;
- nella seconda parte presentavo l’analisi e le motivazioni storiche alla base della formazione dell’enclave linguistica.
In questo secondo pezzo cercherò di affrontare, in continuità di ragionamento, alcune considerazioni riguardanti la tutela delle minoranze linguistiche in Italia.
Mentre in un terzo pezzo, cercherò di raccontare più in dettaglio la formazione dell’enclave soffermandomi sui fatti della conquista dell’Isola da parte dei fratelli Roberto e Ruggero d’Altavilla, che apre una nuovo capitolo di Storia della Sicilia affrontata per la prima volta dallo storico Emerico Amari durante gli anni dell’esilio a Parigi, molto interessante per noi siculo-albanesi, anche per la storia del’insediamento dell’impero bizantino e della successiva edificazione della nostra Chiesa della Martorana di Palermo ad opera del secondo Ammiraglio dell’esercito normanno durante la Reggenza di Maria Adelaide del Vasto Monferrato.
Prendevo lo spunto nella prima parte da un servizio sulla minoranza gallo-italica trasmesso da RAI Tre settimanale del Sabato, ove si riprendeva una delle lezioni che si svolgono in alcune classi di scuola media, condotte dai Professori di lettere, per recuperare l’antica cultura della comunità, attraverso la fase della scrittura e lettura e poi quella del recupero della lingua orale degli anziani, secondo le fasi previste dal “Progetto Gallo-Italico” curato dal prof. Trovato dell’Università di Messina, che nel corso dell’intervista, lamentava l’assenza di tutela della minoranza in quanto non elencata nella Legge N. 482 del 1999 di attuazione dell’art. 6 della Costituzione.
In effetti per volere affrontare la questione in dettaglio, forse sarà andata proprio così, cioè forse si è trattato di una dimenticanza vera e propria, oppure forse è prevalsa la teoria che “assimila questa minoranza a quelle afferenti a parlate dialettali della lingua ufficiale dello stato” e per questo non contemplate nell’elenco della Legge 482 e tantomeno dalla carta Europea delle lingue regionali o minoritarie, adottata a Strasburgo il 5.11.1992.
Secondo alcuni costituzionalisti che lavorano a stretto contatto con i linguisti, la questione delle minoranze linguistiche è stata affrontata ancor prima della stesura della carta Costituzionale con gli “accordi del 1945” per le minoranze di confine, in un secondo tempo la formulazione dell’art . 6 della Costituzione veniva a sancire per legge tali accordi. Ma non solo fino agli anni sessanta inoltrati le Camere si fanno carico di ripulire la legislazione fascista per le minoranze di confine, sostituendola man mano con vere e proprie leggi specifiche per ciascuna minoranza e in occasione del varo dei Decreti Delegati e la costituzione degli organi collegiali della Scuola nel 1974 , vennero previste le rappresentanze di dette minoranze, non solo ai livelli provinciali ma perfino nel Consiglio Nazionale della Pubblica istruzione .
Soltanto negli anni settanta con l’avvio degli Statuti delle Regioni ordinarie, queste si fanno carico di contemplare le parlate regionali dei territori amministrati e di conseguenza vedono la luce in questi anni le prime leggi regionali in materia di minoranze linguistiche interne, subito impugnate dai Commissari dello Stato, data la novità.
Soltanto dopo questo primo periodo di fioritura dei nuovi Statuti viene fuori una maggiore sensibilità verso le culture delle minoranze linguistiche e si registra da allora una imponente fioritura di leggi dal Veneto alla Sardegna, ove si toccano delle punte di valorizzazione della parlata locale ,con l’uso della lingua sarda ( sono almeno tre le varianti ) più volte richiesto nei Consigli Comunali in attuazione dell’art. 8 della Legge 482.
Finalmente nel 1999, a ridosso del 2000, dopo quasi 60 anni dal varo dell’art. 6 della Costituzione, la tanto auspicata Legge quadro per le minoranze linguistiche N. 482, di attuazione dell’art. 6, cerca come può di superare la disparità tra le minoranze linguistiche di confine già tutelate e quelle definite “interne” e le elenca, dimenticandone alcune, tra cui la gallo-italica e anche ad esempio quella dei Rom, e se vogliamo oggi viene a imporsi, a latere, più che mai la questione delle nuove minoranze degli immigrati per cui tace la prima Legge Martelli, la seconda Legge Turco e l’ultima Legge Bossi-Fini attualmente in vigore, per cui presentandosi un alunno a scuola, parlante una lingua extracomunitaria ( si stima che sarebbero presenti in Italia almeno 105 gruppi etnici diversi), intanto si deve accettare ,poi sottoporre ad un test di comprensione della lingua italiana e farlo frequentare una classe corrispondente alla sua conoscenza.
E in presenza di alunni ad esempio di 9 anni che sconoscono i fondamentali della lingua italiana, come si fa a iscriverli d’ufficio in prima elementare ? E qui scatta l’azione di volontariato dei Docenti, che venendo incontro al giusto criterio del Preside accettano l’alunno in classe terza o quarta a seconda dell’età, con tutte le conseguenze del caso, cioè … ricominciare “un programma ad personam dalla A alla Z” e proseguire di tre classi in una, contemporaneamente alla gestione degli altri 22 o 24 alunni di terza o di quarta, come posso testimoniare in prima persona, per più di un caso, oggi i miei colleghi in servizio avranno un altro handicap perché non potranno sfruttare quelle due ore preziose di compresenza settimanale che ti consentivano di gestire un “progetto differenziato” in classe, in quanto tutte le ore di compresenza vanno convogliate nelle supplenze “ad horas”.
Soltanto nella recente Legge sulla sicurezza presentata da Maroni, la questione dell’apprendimento linguistico per gli alunni viene affrontato ma relegato nell’art. 1, comma 1, lett. i, che dispone il superamento di un non meglio precisato “Test di conoscenza della lingua italiana” per la richiesta della cittadinanza anche in sanatoria.
Secondo la corrente citata di costituzionalisti sensibili al problema lingua, la Repubblica Italiana ha concesso per “quieto vivere”, molto di più alle minoranze linguistiche di confine, molto coese politicamente, che a quelle interne e alle stesse minoranze religiose.
Se pensiamo che ad esempio in Alto Adige 100 dei 116 Sindaci appartengono al Partito di maggioranza il Sudtiroler Volkspartei che nelle elezioni provinciali riesce a superare sempre il 50 % dei voti, mandando un gruppetto di parlamentari molto attivi a difendere le questioni territoriali, quasi un unico Partito etnico, verifichiamo de visu l’assunto affermato dai Costituzionalisti , tra l’altro le nostre minoranze di confine dell’ Alto Adige e della Val d’Aosta, sono considerate come le più protette del mondo e per questo ha dichiarato l’alpinista Reinhold Messner, ex deputato europeo dei Verdi che in atto sono studiate da emissari del Dalai Lama, che prima di ritirarsi in pensione vuole lasciare un Trattato col Governo Cinese su uno Statuto di Autonomia del Tibet.
Ma vediamo più da vicino, in estrema sintesi di cosa si tratta. Lo Statuto di autonomia del 1972, approvato con Legge costituzionale, che supera quello del 1948, istituisce la “Provincia di Bolzano” ( Autonome Provinz Bozen ). Secondo il censimento etnico almeno 2/3 degli abitanti sono di madre lingua tedesca ( parlanti abitualmente il dialetto Sud Tirolese), il 4,7% parlano la lingua ladina dolomitica ( Val Gardena , Val badia ), gli italofoni quasi tutti concentrati nell’area di Bolzano sono il 26,5 % , ma in caso di matrimoni misti con italofoni i genitori preferiscono denunciare i figli come parlanti tedeschi in modo che in futuro potranno aver diritto alla riserva dei posti di lavoro, in base alla maggiore percentuale dei 2/3 spettante alla parlata tedesca, ma questa è un’altra storia e vi ritorneremo. Con la riforma dello Statuto del 1972 la Provincia è stata dotata di un ampio potere legislativo in materia di sanità, scuola,formazione, lavoro, trasporti e viabilità. Molto ampia è l’autonomia finanziaria, per cui almeno il 90% dei tributi riscossi resta sul territorio.
Nicola Graffagnini

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