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giovedì 2 settembre 2010

Quale differenza esiste nell'esercizio del 'potere cieco' di Sarkozy, Marchione, Tamburrino ? Nessuna

Celebrazione nella Chiesa bizantina di Palazzo Adriano
La sorte subita da papas Nicola, reo di essere un prete “credente” –cosa piuttosto rara in questi tempi- e di avere in più anni subito le pretese di “orgoglio” basate sull’intolleranza di un altro prete (portoni chiusi, processioni concomitanti come sul libero mercato di Wall Street etc.) e che, proprio in conseguenza di questa ragione (l’avere subito con umiltà ..), è stato rimosso dalla sua parrocchia ad un’altra, come spesso avviene nella vita sociale assume un interesse di portata generale perché è  riflesso e si riflette sul corretto funzionamento delle istituzioni, siano esse Pubblica Amministrazione, Chiesa, Aziende pubbliche e/o private.
Papas Nicola avendo sempre fatto il dovere di sacerdote (lo dimostra la partecipazione di massa alle tre liturgie domenicali da lui celebrate) è stato trasferito a Palazzo Adriano con decreto del suo Vescovo sotto dettatura, cosi si dice in giro, del delegato pontificio; delegato pontificio, da tenere in debita considerazione, che conosce papas Nicola solo attraverso la “montagna di carte” che, chi più chi meno, a Contessa Entellina si dilettano ad alimentare. Se questo è il grado di conoscenza che il delegato ha, chiunque non stia tranquillo nella vita di ogni giorno perché il “Potere” non potrà che essere cieco prima o dopo anche con lui.
Nel caso di papas Nicola siamo in attesa di conoscere i motivi pastorali, organizzativi, di opportunità conseguente alla preparazione culturale-religiosa che hanno condotto alla rimozione. Siamo in attesa di conoscerli, ma sappiamo bene che non li conosceremo mai: il delegato pontificio non risponde alla base, agli umani, ai cristiani, risponde al vertice, ai potenti, ai più potenti di lui.
Mons. Tamburrino ha disposto e papas Nicola ha ubidito, la storia per il 'Potere' finisce qui.
L’operato di Mons. Tamburrino nel terzo millennio in cui ci capita di vivere rischia purtroppo di diventare la regola.
La restaurazione del Potere dopo gli scricchiolii sessantottini ormai -lo intuiamo giornalmente- è cosa fatta, sia nella Chiesa che nella società civile. La dignità della persona da qualche tempo va piegata alle esigenze e alle logiche del Potere.
E’ con difficoltà che la base “credente” accetta, può accettare, che la dignità di un sacerdote possa essere immotivatamente violentata. La dignità di un sacerdote coincide col suo subire umilmente ciò che la quotidianità gli presenta, ma il sacerdote deve poter ricevere una spiegazione ed una prospettiva alle difficoltà che i superiori volutamente creano a lui, e non solo a lui: ai familiari (moglie, figlia) ed ai fedeli che in lui hanno riposto le tante domande della vita.
Papas Nicola ha subito i portoni chiusi, i portoni che si aprono in mancanza di chiavi e molte altre circostanze senza avere mai mostrato segni di impazienza, sapendo sempre spiegare nelle omelie, agli altri, come la prospettiva cristiana esiga nella vita quotidiana l’impatto con le difficoltà ed il male. Tutto normale, viene da dire a sentir lui.
Mons. Tamburrino ha il legittimo potere di spostare a capriccio, o sulla scorta di “montagne di carte”, i sacerdoti disancorati dal Potere, però gli sfugge che i fedeli, la gente annota, valuta e metabolizza.
Che senso ha avuto il trasferimento di papas Nicola se non una sorta di censura ad personam ?
Se un sacerdote viene meno ai suoi compiti l’Eparca può, e deve, contestargli gli specifici addebiti e provare la loro fondatezza. Ai nostri giorni la “messa al bando” non è prevista né dal Codice di Diritto Canonico né dalla coscienza collettiva.
Oggi la società esige che Vescovo e Delegato garantiscano, tutelino, l’impegno profuso senza tregua dai loro migliori collaboratori, ed invece con molto rammarico è dato assistere al convincimento che l’istituzione Chiesa opera esattamente come tutti i Poteri del mondo (il fine giustifica il mezzo: il sacrificio di papas Nicola per dare la sensazione che i monsignori non guardano in faccia né chi chiude i portoni né chi dal portone chiuso è costretto a restare in mezzo alla strada).
I giornali in edicola oggi ci informano che Mons. Marchetti, segretario del ministero vaticano per i migranti, dopo essere stato isolato nei giorni scorsi dagli ambienti vaticani che contano per avere egli lanciato –come era suo dovere ed obbligo- dure accuse contro la politica di espulsione di Sarkozy (e del nostro Maroni) si è visto …. “accettate le dimissioni” dal Santo Padre.
Nella Chiesa-gerarchica il Vangelo è uno strumento, il Potere è il fine. Il buon rapporto con Sarkzy non può essere messo in discussione dal Vangelo.
Mons. Marchetti, papas Nicola, non hanno voluto avvalersi dei meccanismi impropri del potere, in pratica non hanno cercato di conservare il loro ruolo omettendo di fare il loro dovere. Essi non hanno capito, non vogliono capire, è bene che non capiscano, che nella vita bisogna essere opportunisti piuttosto che testimoni, sempre e comunque, della verità (scritto nel suo significato sia con la “v” minuscola e/o maiuscola).
Il Potere, lo sappiamo bene, lede sempre la personalità di coloro che si trovano alla base della piramide. Vescovi, delegati, capi di aziende (leggasi Marchione) colpiscono la dignità di chi sta sotto il loro ‘dominio’, prescindono dalle qualità sacerdotali, professionali, culturali, lavorative etc. e ledono la “libertà”, quella in senso cristiano, di adesione al bello, al buono, perché gli “uomini migliori” non riescono a capire (non vogliono capire, e non devono capire) che nella vita serve oltre alla “libertà” anche l’appartenenza e l’adesione a questo o a quel pezzo di area di influenza e/o di potere.
Papas Nicola come Mons. Marchetti, come i sindacalisti di Pomigliano, come le migliaia di persone oneste che giornalmente vengono stritolate dal Potere cieco.
Papas Nicola continuerà a subire, però sa che lo esige la vita del cristiano. Siamo noi, i tanti di noi, che vorremmo -con l’impegno civico di ogni giorno- cambiare il mondo, che invece perdiamo abbastanza spesso la speranza che egli possiede.

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