StatCounter

lunedì 12 luglio 2010

Costituzione Repubblicana: Artt 56, 57, 59, 60, 61, 65, 66, 67 sul Parlamento

di Lorenza Carlassare
COME ERA BELLO IL PROPORZIONALE

Entrambi i rami del Parlamento, Camera dei deputati e Senato della Repubblica sono eletti a “suffragio universale e diretto” (art. 56 e 57) per la durata di cinque anni (art. 60), a meno che non intervengano ragioni che giustifichino, eccezionalmente, lo scioglimento anticipato (art. 88).
Sul sistema elettorale la Costituzione nulla stabilisce, benché molte delle sue norme presuppongono una rappresentazione plurale, e dunque il sistela elettorale proporzionale, in grado di esprimere adeguatamente il pluralismo della società civile. A differenza del maggioritario, il sistema proporzionale assicura la rappresentanza delle minoranze avendo come obiettivo che tutte le forze presenti nel corpo sociale trovino espressione in Parlamento. Il rischio di eccessiva frammentazione è facilmente superabile con l’introduzione di correttivi, adottati in altri ordinamenti. Nel 1993, inseguendo il bipolarismo all’insegna della “governabilità”, il proporzionale è stato abbandonato. Da allora il nostro sistema anzicchè migliorare è continuamente peggiorato: la “stabilità” del governo, la difficoltà di farlo cadere anche se conduce al degrado istituzionale, non è sempre un vantaggio !

PIENAMENTE realizzato è l’obiettivo principale sottostante alla riforma: il costo della partecipazione democratica era troppo alto, i “bisogni” che si affacciavano alle istituzioni troppo numerosi per poterli soddisfare senza toccare interessi consolidati; era dunque essenziale una riduzione delle domande e il modo più efficace per arrivarci era ridurne i canali di trasmissione attraverso la semplificazione politica. Riducendo il numero dei partiti, si riduce il numero delle “voci”. In un sistema bipolare le posizioni estreme sono necessariamente penalizzate: le due parti, per vincere e conquistare gli elettori “mobili”, tendono al centro. Così alcune fasce sociali non sono più rappresentate, non hanno voce. E’ avvenuta una vera rivoluzione sociale: la classe operaia, un tempo in primo piano, ha perduto forza e riferimenti istituzionali. Con l’introduzione del premio di maggioranza e l’idea veltroniana del partito maggioritario che corre da solo, la sinistra è sparita dalle istituzioni parlamentari. I risultati si sono subito visti e si vedono ogni giorno, in una Repubblica, per Costituzione, “fondata sul lavoro”.
LE DUE CAMERE esercitano le stesse funzioni e sono poco differenziate nella composizione, perciò, ritenendole un inutile doppione, se ne progetta da sempre la riforma. L’elettorato della Camera è più ampio e più giovane,; l’età è diversa per essere elettori -18 anni per la Camera, 25 per il Senato- e per essere eleggibili -25 anni alla Camera, 40 al Senato. Alcuni sono eletti nella circoscrizione Estero, da pochi anni istituita, nella quale si sono registrati brogli e confusioni. Dal 1963 il numero dei parlamentari è fisso in 630 per la Camera, 315 per il Senato, un numero eccessivo sicuramente, che si parla sempre di ridurre. Il Senatoi ha alcuni membri “di diritto a vita”: gli ex Presidenti della Repubblica e i senatori di nomina presidenziale (non più di cinque), scelti fra cittadini che “hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” (art. 59, Rita Levi Montalcini ad esempio.
“Finchè non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti” stabilisce l’art. 61, co. 2; una norma importante, in base alla quale non si resta mai senza Parlamento: quando necessario, le Camere si riuniscono anche se sciolte (è espressamente previsto, ad esempio, per conversione dei decreti legge).
“Nessuno può appartenere contemporaneamente alle due Camere, dice l’art. 65, che impone alla legge di determinare i casi di ineleggibilità e incompatibilità con la carica di deputato o senatore: ma è ciascuna Camera a giudicare “dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di incompatibilità e ineleggibilità” (art. 66), il che consente abusi gravi che i gruppi politici avallano reciprocamente. Attribuire, come in altri paesi, la competenza ad un organo esterno e indipendente come la Corte costituzionale, estraneo alle vicende dei personaggi politici e agli interessi di partiti, gruppi e correnti sarebbe una delle poche riforme veramente necessarie.
“Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandatoi” (art. 67): controverso è il senso della disposizione, invocata ora dagli uni e ora dagli altri secondo convenienza e spesso a sproposito. La norma, in primo luogo, ha una valenza territoriale sottolineata già dallo Statuto Albertino “I deputati rappresentano la nazione in generale e non le sole Province in cui furono eletti (art. 41).
E’ UN DISCORSO che a qualcuno andrebbe oggi ricordato. La norma non esclude la rappresentanza “anche di interessi collocati territorialmente, purchè inquadrati in una visione complessiva. Quanto al divieto di mandato imperativo, è soprattutto una garanzia nei confronti dei partiti. Nessun provvedimento assunto nei confronti di un parlamentare che si discosti dalle direttive di partito può avere come conseguenza la perdita della carica: egli resta comunque un membro del Parlamento. L’eventuale espulsione lo costringerà soltanto ad iscriversi al gruppo misto, ma non interromperà l’esercizio delle funzioni parlamentari. Il discorso in verità è complesso e in poche righe non lo si può sviluppare. Resta fermo comunque, che l’art. 67 esclude l’interferenza e l’invalidità di ogni impegno specifico che il parlamentare abbia, con chiunque, assunto.

Nessun commento:

Posta un commento