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domenica 16 maggio 2010

Se la comunità locale è fragile di chi è la colpa ?

Ci perviene dalla Germania la nota che volentieri pubblichiamo

Tanti amici che conosco dagli anni dell'infanzia, su questo blog, ma anche sul facebook, stanno attribuendo la perdità di identità del nostro carissimo paese ad un prete venuto da Cianciana che, non avendo capito nulla di ciò che combina ai danni della comunità che lo ospita, ritiene di costruire la sua immagine suscitando orgogli campanilistici -fra i suoi supposti fans- da lungo tempo fuori moda.
Questa analisi non solo è incompleta, ma è anche in un certo senso fuori luogo.
Il prete venuto da fuori se riesce a interrompere lo svolgimento di secolari tradizioni (chiudendo le porte della chiesa, delegittimando il suo Eparca, sfidando chiunque del paese lo voglia contrastare e così via) è segno che è più forte, più vivace, più carico di energie rispetto ai miei vecchi compaesani, come sul vostro blog ho avuto modo di capire. E' segno che Contessa è stanca, è avviata al tramonto. Intendo Contessa arbërëshe.
Non è, in sostanza, colpa del prete venuto da fuori se il mio paese d'origine si avvia a perdere l'identità che per secoli ne ha fatto un'isola diversa in un mare di paesi siciliani (o come dite voi, in alcuni scritti, se Contessa si avvia a diventare conforme a Campofiorito -che comunque ricordo, sotto altri aspetti, è un bel paesino-). 
Non è per contraddire, polemicamente, l'analisi che avete svolta sul blog e che vedo dispiegata anche su facebook, se assolvo quel poveretto di prete. Egli fa, come tutti gli esseri umani, ciò che gli spazi culturali e sociali della comunità gli consentono di fare.
Contessa si sta accorgendo, grazie ad un prete venuto da fuori, che da molti decenni i cosiddetti arbërëshe non esistono più. Ho lasciato Contessa oltre trent'anni fà e già allora tanti di voi (che scrivete sul blog e su facebook) e tanti vostri genitori, che conoscevano l'arbërëshe, ai loro figli parlavano in italiano. Già allora nella chiesa di rito greco era stato abolita la liturgia in lingua arbërëshe, già allora era stato avviato l'insegnamento dell'arbërëshe nelle scuole, ma gli insegnanti di albanese nella conversazione domestica usavano l'italiano.
I semi di ciò che vi capita oggi sono stati sparsi tanti anni fà. Il prete che viene da fuori non vi sta sottraendo alcuna tradizione. Egli fa, sul piano sociale, ciò che il contesto gli consente di fare e se il contesto è ormai debilitato pure le vostre lagnanze sono fuori luogo.
Trent'anni fà Contessa Entellina ha ritenuto che l'arbërëshe fosse superato. Dal momento in cui in una etnia minoritaria viene meno l'uso della propria lingua, il voler mantenere tutto il resto (compresa la tradizione liturgica specifica) rischia di divenire 'folklore'.
Non incolpate, cari compaesani, il prete venuto da fuori. Fate una riflessione interiore. Dire, come fate su internet, "vogliamo conservare le Tradizioni" quando consapevolmente non avete saputo difendere la lingua nell'uso familiare, con i vostri figli, vi rende "non credibili". La Tradizione fondamentale, che copre tutto il resto, è quella della conservazione della lingua. Se c'è questa, tutto il resto è tutelato perchè chi viene da fuori si accorge della "solidità" comunitaria. Piana degli Albanesi insegna.
Se tutto è debilitato, è ovvio che qualsiasi prete che viene da fuori punta a ristabilire un equilibrio nuovo.
Spero di non essere apparso polemico. Ho solo voluto tracciare il vostro odierno fragile profilo. E l'ho fatto con sofferenza.
Un arbërëshe settantenne

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