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domenica 25 aprile 2010

Lettura evangelica domenicale nel rito bizantino

a cura di Giuseppe Caruso
Il testo di questa domenica, dal capitolo 5 del vangelo di Giovanni, è molto conosciuto. E’ il racconto della guarigione dell’uomo paralitico, con la presenza un po’ magica dell’angelo che viene ad agitare le acque, e la gara per cui il primo che si immerge viene guarito. Da tale brano questa domenica viene chiamata nel nostro rito Domenica del Paralitico.
Una vita paralizzata.
La vita di quest’uomo è paralizzata su un lettuccio, nemmeno la magia degli angeli riesce a smuoverla in trent’otto anni; quando la vita media ne durava cinquanta scarsi, trent’otto vuol dire tutta una vita! Una vita bloccata, in cui il desiderio rimane assolutamente forte, ma sembra davvero non poter succedere niente. La descrizione di Giovanni di questi infermi che si trovano vicino alla piscina, è segno di un’abitudine diffusa nell’antichità quando non c’erano ospedali e i luoghi di cura, spesso, erano legati alla presenza di acque; acque termali che avevano proprietà benefiche, acque simbolicamente rigeneratrici, ma anche semplicemente acque che consentivano un’igiene non possibile altrove, perché non c’era acqua corrente. Secondo l’abitudine greca i luoghi di cura erano tutti dei santuari e non c’era un confine così netto tra scienza e magia. Non stupisce che, anche in Gerusalemme, seppure vicino al tempio del Dio unico, ci fosse un luogo legato ad una piscina, che riportava a culti precedenti, ad abitudini antiche. “Si trovava là un uomo che da trent’otto anni era malato”. Giovanni, che è sempre così preciso, non dice il nome di quest’uomo; la sua qualifica è essere malato da trent’otto anni. Il numero trent’otto non è usato a caso, richiama gli anni in cui gli israeliti hanno vagato nel deserto, secondo il Deuteronomio. Noi diciamo sempre quarant’anni; in realtà, secondo Deuteronomio, sono trent’otto; secondo Esodo quaranta. Secondo Deuteronomio sono trent’otto, perchè bisogna contare l’ultimo anno in cui erano ancora in Egitto e il primo nella terra promessa in cui non mangiano ancora i frutti che hanno coltivato loro, e si arriva così ai quaranta del deserto. Giovanni cita Deuteronomio: quest’uomo è uscito da una schiavitù, ma non è ancora entrato nella terra promessa. E’ uscito dalla schiavitù di pensare che non potrà guarire, è arrivato alla piscina, può sperare la guarigione, ma non può ancora entrare nella terra promessa perché non riesce a guarire. E il suo grido è meraviglioso! “Io non ho nessuno che mi immerga nella piscina”. Avrebbe potuto dire: ma perché sono paralitico? Invece dice : io non ho nessuno. E’ fedele al suo desiderio. Il suo problema non è che è malato, ma che non è guarito. “Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse. ‘ Vuoi guarire?”. Gesù, quando incontra qualcuno, fa sempre delle domande. Gli incontri con Gesù non sono mai una risposta; in genere non spiega e quando spiega non si fa capire – a Nicodemo fa il discorso del nascere di nuovo, alla Samaritana il discorso sulla fonte di acqua viva …– e i suoi interlocutori non capiscono, però va bene così. Questo nelle nostre teste di credenti non entra mai; noi ci aspettiamo sempre che l’esperienza della fede sia avere una risposta, un senso, una direzione. Invece mettersi dalla parte della sequela di Gesù significa accollarsi un guaio, avere sempre qualcuno che ti fa una domanda e che in genere, tra le varie possibili, ti fa l’unica che non vorresti sentire. Non ti chiede come va, com’è il tempo, ma, a quest’uomo che da trent’otto anni sta tra la schiavitù della malattia e la mancanza di guarigione, dice: Vuoi guarire? E la grandezza di quest’uomo, come di tutti coloro che incontrano Gesù nel vangelo, è nel non sottrarsi alla domanda, non nella qualità di ciò che risponde. Il paralitico non si tira indietro. Dice esattamente la cosa profonda: “Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita”. “Gesù gli disse: ‘Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. Come vediamo, questo prendi il tuo lettuccio diventerà una questione decisiva. Giovanni deve metterla lì perché, se gli dicesse solo alzati e cammina, non potrebbe poi mettere la polemica sul sabato, perché di sabato non è proibito né alzarsi né camminare, ma portare una cosa sì. Ma è anche una bella immagine. Costui, che se ne stava disteso da trent’otto anni, può prendersi carico della cosa stessa su cui stava disteso, può farsi carico di se stesso. E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare”. Il verso dove, non importa a nessuno, né a Gesù, né a lui. Comincia ora il secondo quadro del dittico: “Quel giorno però era un sabato”. Come se questo particolare, in una guarigione, fosse un dramma. Noi diremmo: guarda che bel racconto, una fioritura di vita, proprio nel giorno del Signore! “Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: ‘E’ sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio”. Si occupano dell’unica cosa che non c’entrava niente né col desiderio del paralitico, né con la domanda di Gesù, né con la vita di quell’uomo. “Ma egli rispose loro: ‘Colui che mi ha guarito mi ha detto: ‘Prendi il tuo lettuccio e cammina”. Contrappone alla loro questione la parola affermativa ed efficace di Gesù. Lui, che non aveva nessuno, ha incontrato uno che gli ha detto una cosa vera e non ha intenzione di metterla in discussione. Fa come gli è stato detto. Ma poi viene il punto geniale: “Chi è stato a dirti: ‘Prendi il tuo lettuccio e cammina?’ Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio…” Lui non sa chi è Gesù ma è Gesù che torna e lo trova. E’ sempre Gesù che ci trova. Il problema non è che noi sappiamo chi è Gesù; l’importante è che lui sappia chi siamo noi. Se lui sa chi siamo noi, basta, siamo tranquilli; il resto non è un problema nostro. Il problema non è se noi crediamo in lui, è che lui creda in noi. Se lui crede in noi, basta, non c’è un altro problema. Dunque Gesù si era allontanato, poi lo trova. “Ecco che sei guarito; non peccare più” Entra in questo scambio di parole, ma non per dire, il sabato non è così importante… non entra nella polemica, entra nella situazione e dice all’uomo l’unica parola che, ancora una volta, è significativa: Sei guarito, non peccare più. Non c’è un’altra cosa da dire.

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