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mercoledì 2 dicembre 2009

Francesco Giunta e le indagini storiche sugli arbrëshë -2-

Una simile considerazione di dare ogni aiuto ai profughi si può ritrovarla anche nelle premesse a taluni capitoli delle colonie, come in quelle di Piana là dove viene affermato che i Greco-Albanesi "post eorum exilium, ab eorum patria expulsi, possent commonde et congrue habitare".
D'altronde, la situazione della presenza umana del Tre e Quattrocento era quanto mai difficile. Pochi i paesi, scarsamente popolati, specialmente nella zona occidentale dell'isola, dove, come è stato recentemente affermato da uno studioso francese, Henri Brese, dopo la fine del XIII secolo, a pochi centri abitati corrispondeva "una immensa zona del tutto vuota che comprende i feudi dell'Arcivescovado di Monreale, dei grandi monasteri e di alcune famiglie dell'aristocrazia residenti a Palermo. Rari castelli (Calatamauro, Calatrasi, Misilmeri, Cefalù, Margana), alcuni "fondachi", dove i lavoratori agricoli trovano il vino e spendono il loro salario, si alzano nelle campagne vuote d'uomini".
In un tale quadro, giustamente pessimistico, rientra lo spopolamento dei casali, sopravvenuto alla guerra del Vespro, come a Mezzojuso, a Palazzo Adriano ed in quelle zone dove sorgerà Piana, che aveva avuto i centri agricoli distrutti dalle truppe di Federico II impegnate a reprimere la rivolta dei Saraceni siciliani.
Com'è stato rilevato, "l'uomo era un capitale preziosissimo, indispensabile" per rimettere a coltura vasti territori abbandonati, sicchè, già dalla fine del XIV secolo, i proprietari interessati (siano ecclesiastici, siano laici) avevano promosso una immigrazione di mano d'opera, soprattutto "zappatores", dalla vicina Calabria, dalla Liguria, dalla Spagna mediterranea e da Malta. Non mancano tuttavia lavoratori provenienti anche dalla regione albanese: fra il 1396 ed il 1429, infatti, si possono censire nei registri notarili di Palermo alcuni lavoratori addetti ai vigneti ed agli oliveti chiamati "de Duracio" o genericamente "de partibus Albanie", oppure "albanenses", oppure ancora "albanisi".
Ma si tratta indubbiamente di una immigrazione episodica, di singole unità, che in breve tempo si è ben integrata nella popolazione palermitana e che, nello stesso tempo, ha segnato nel volgere di un trentennio, la buona strada per il grande esodo albanese.

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