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domenica 27 settembre 2009

Il terremoto del 14 gennaio 1968 (Parte terza)

Dalla Grande Enciclopedia De Agostani (ed. 1999) riprendiamo ed integralmente riportiamo il brano che segue. Scopo di queste voci autorevoli esterne, che continueremo ancora a riportare, è di smontare le baggianate su un mondo paradisiaco prima del terremoto. E' evidente che nel sostenere la presenza del paradiso a Contessa prima del sisma non si ha cognizione del fenomeno migratorio iniziato sul finire degli anni '50 per la Svizzera e la Germania che nel giro di pochi anni interessò, prima del sisma, oltre 1000 persone. Tutti turisti ? tutta gente che scelse per capriccio di andare a vivere a Sachingen, Friburgo, Aarau etc. per contrariare l'assetto paradisiaco paesano ? I tre post sul terremoto, riportati sul sito, invece ci riferiscono di Contessa e della Valle del Belice , nel 1968, fra le terre più arretrate e misere d'Italia.
Il Contessioto



Belice: la terra trema

Alle 2,55 di lunedì 15 gennaio, un violento terremoto sconvolge la valle del Belice, al confine tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento: una zona segnata dalla povertà e dall’emigrazione che ancora non conosce pace.

Le avvisaglie c’erano già state il giorno prima, una domenica fredda anche in Sicilia. All’ora di pranzo una forte scossa di terremoto strappa la gente da tavola. La paura è tanta, ma i danni sono contenuti. Nel pomeriggio si registrano altre scosse, tutte lievi, e la gente si rassicura. Ma verso il tramonto la terra trema altre due volte. A Ghibellina la gente fugge all’aperto. In 6.000 decidono di passare la notte all’addiaccio.
Poi, improvvisa, la scossa micidiale. Ghibellina e Montevago sono rase al suolo. Gravissimi danni si registrano a Salaparuta, Santa Ninfa, Salemi, Poggioreale, Santa Margherita Belice e Partanna. I morti sono 236, i senzatetto 150.000.
Di fronte a questa tragedia, che mette in ginocchio l’intera Sicilia Occidentale, lo Stato sembra impotente. La Valle del Belice è una delle zone più povere d’Italia. Piccoli paesi dalle case di pietra e tufo, chiusi fra il mare, le zolfare e i monti dell’Agrigentino, noti per le imprese garibaldine, per una povertà secolare e per il banditismo.
I primi soccorsi arrivano a Montevago nel pomeriggio del lunedì. A fatica, per via delle frane, gli automezzi riescono a raggiungere la cittadina, ridotta a un cumulo di macerie. Per giunta, la terra continua a tremare, il tempo mette al brutto e la nebbia ostacola l’arrivo degli elicotteri. I mezzi sono inadeguati, soprattutto quelli per rimuovere detriti e macerie. Da sotto le macerie si odono flebili invocazioni di aiuto e i soccorritori scavano furiosamente, spesso a mani nude. Manca tutto: viveri, vestiti, medicinali. Non ci sono le tende e gli scampati sono costretti a passare le notti all’addiaccio, protetti solo da qualche coperta. Finalmente cominciano ad arrivare i soccorsi. Il più delle volte si tratta di interventi caotici, affidati all’improvvisazione e alla buona volontà dei singoli. Per diversi giorni, la Sicilia ha l’impressione di essere rimasta sola nella tragedia. Poi da tutto il Paese giungono squadre di volontari, studenti, preti, infermieri e medici. Alcuni francesi portano uno strumento per accertare se ci sia ancora qualche persona viva sotto le macerie.
Manca ancora un unico coordinamento dei soccorsi. Le cronache giornalistiche dalle zone colpite dal sisma somigliano a corrispondenze di guerra. La gente patisce il freddo e la fame e vive nel fango. I bambini sono senza latte e senza pane. Si comincia a temere il rischio di epidemia. Un ospedale mobile tenta di raggiungere Montevago, ma è costretto a fermarsi a Castelvetrano. Il 18 gennaio un nubifragio colpisce l’isola e ritarda ancora di più le operazioni di soccorso.
Il paese chiede che l’azione del governo sia rapida e incisiva. Vengono allestiti progetti di ricostruzione e di industrializzazione che costeranno miliardi e non saranno mai realizzati. Si varano apposite leggi che nessuno applicherà mai. Si stanziano fondi (si parla di un totale di oltre 1000 miliardi) persino negli anni novanta, a ormai 30 anno dalla tragedia.

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