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giovedì 27 agosto 2009

Cantare la Paraclisis non può mai essere 'contra legem'.


La Paraclisis dei greci non è potuta avvenire, in questo 2009, all'interno della chiesa latina perché la parrocchia, affidata pro-tempore a padre Mario, assistita da un avvocato canonista, ha ritenuto di dover far valere una nuova interpretazione sulla consuetudine dei greci di Contessa Entellina di andare a cantare gli inni alla Vergine Maria all’interno della chiesa.
La nuova interpretazione, che tenteremo di spiegare in seguito, purtroppo non è facile da spiegare agli arbreshe, che da oltre 300 anni nella prima quindicina di agosto, con naturalezza e sincerità di fede si recano nella Chiesa della Madonna della Favara per pregare davanti all’immagine della Madre di Dio. Padre Mario ed i suoi più stretti collaboratori hanno ritenuto, in presenza di una situazione nuova, difficile, complessa e ardita da spiegare, di fare ricorso alla forma più antipatica di affrontare i problemi fra gli essere umani: chiudere il portone della chiesa in faccia ai fedeli che volevano pregare e dalla canonica, addirittura, si è osato spiegare, a chi chiedeva chiarimenti, che ognuno deve pregare nella propria chiesa. In questa sede non compete a me valutare quanto sia più o meno cristiano l’approccio adottato.

Tenterò invece di chiarire, visto che non è stato fatto da chi avrebbe dovuto (e se l'ha fatto è avvenuto in ritardo) in forme civili e aperte per la comprensione della gente, in cosa consista il rigetto della consuetudine (peraltro formatasi su presupposti giuridici validi a ridosso del 1700).
La consuetudine consiste in una ripetizione di atti posti in essere da una comunità (quella bizantina di Contessa, nel nostro caso) i quali atti nel tempo vengono assunti come regola di comportamento.
I canonisti nella consuetudine colgono due elementi:
-la continuità nel tempo degli atti posti in essere dalla comunità senza forza obbligatoria (consuetudo facti); ma nel nostro caso la consuetudine si sviluppa sulla base di una transazione.
-il consenso del legislatore (in Occidente l’unico legislatore è il papa) che fa della “consuetudo facti” una consuetudo iurris.

Dalla presenza di questi due elementi si evince che fra consuetudine e legge deve sussistere un certo tipo di raccordo. Intanto, ai fini della nostra disamina, distinguerò tipologie e richiamerò circostanze aderenti al nostro caso:
- consuetudo secundum legem, quando la consuetudine va ad integrare e confermare la legge. Nel nostro caso la consuetudine nasce sulla scorta della legge ecclesiastica vigente nel 1700;
- consuetudo praeter legem, quando la consuetudine nasce per ovviare a lacune legislative. In effetti nel nostro caso essa si è sviluppata non sul solco di una precisa, prevista negli aspetti, fattispecie: l'occasione è stata la cessione ai latini della chiesa per i loro usi, riservandosi i greci la possibilità di celebrare alcuni loro tipici riti.
- Consuetudo contra legem, che si sviluppa in conseguenza di abrogazione della legge, ossia quando per il passare del tempo ed il mutare degli eventi la legge che era a presupposto cessa di apparire ragionevole e nuoce al bene comune dei cristiani. E’ questo il presupposto che i “latini” rivendicano per asserire che ormai la Paraclisis, chi vuole, la deve cantare altrove, ma non nella Chiesa della Madonna della Favara. Essi dicono che questa antica abitudine cozza con le norme sul nuovo ordinamento parrocchiale.

Come sarebbe stato civile distribuire un pò di volantini per spiegare ai contessioti (ed ai fedeli in particolare) l’intenzione dei latini, piuttosto che sbarrare il portone della Chiesa ! E' stato appena appena sussurrato che erano state spedite delle raccomandate a chi di dovere. Ai promotori dell'iniziativa è però sfuggito che, in questo caso, chi di dovere non era la gerarchia ecclesiale, bensì i fedeli rimasti sbigottiti dietro il portone chiuso in faccia a loro.

Perchè la consuetudine dei greci non è contra legem ?
Ma proseguiamo nell’analisi tecnica-giuridica della questione:
La Chiesa Romana in materia di consuetudine si è sempre adeguata ai criteri del diritto romano e quindi al Corpus Iuris Civilis. All'interno di questo sono sempre convissuti tuttavia due principi; il primo ispirato da Giulio Cesare secondo cui la norma (la legge) nasce in modo tacito, per fatti concludenti, attraverso la consuetudine e l'altro, originato dalla concezione teocratica di Costantino, secondo cui il potere legislativo è nelle mani del princeps, pertanto è inammissibile che una consuetudine sia contraria alla legge.
Detto in altre parole: la consuetudine ha forza giuridica in virtù del potere legislativo del popolo che la crea (concezione democratica di Giulio Cesare); in contrario, ove il popolo sia privo del potere legislativo la consuetudine non ha forza legale (concezione teocratica di Costantino).

I canonisti della Chiesa, come in altre circostanze, hanno individuato il modo di uscire da questa situazione di stallo. Con Gregorio IX vennero emanati i decretali “Cum Tanto” con cui viene riconosciuta la consuetudine interpretativa ed è stata ammessa la “consuetudine contra legem” solo se questa è rationabilis e praescripta. In questo modo Santa Romana Chiesa, per uscire dal vicolo, punta a disciplinare, a regolamentare, la consuetudine contra legem precisando che essa è da rigettare solo se è contra rationem. La chiesa in pratica ammette che una consuetudine possa derogare al diritto positivo (per esempio, l'ordinamento parrocchiale come nel caso sollevato dai “latini”, che non mancano di mostrare uno stato di frustrazione ogni volta che i "greci" pregano nella loro chiesa) purchè la consuetudine sia rationabilis e praescripta.
Con questa scappatoia, nel corso dei secoli, il diritto canonico si è affrancato, su questo punto, dal diritto romano. Perché la consuetudine possa acquistare valore normativo serve quindi il consenso delle Autorità ecclesiastiche “adprobatio”. Cosa che nel caso di Contessa è sempre avvenuto su iniziativa dei Vescovi, prima di Girgenti, poi di Monreale e quindi di Piana. Anche in presenza del codice del 1917 e di quello del 1983, nel 1990, infatti si è pure pronunciato il Vaticano in seguito ad un ricorso allora presentato, ancora una volta, su questa materia.
Perché il Vaticano, in vigenza del codice di diritto canonico del 1983 (che peraltro non fa che attenersi ai decretali di Gregorio IX –di mille anni fà-), ha ritenuto la rationabilitas della consuetudine sulla Paraclisis e sul resto delle consuetudini (festa 8 settembre e Cristos Anesti)?
Perché nel diritto canonico conditio sine qua non di efficacia della consuetudine (dovesse pure essere contra legem) è che essa sia conforme alla ratio. La ratio non è altro che la rispondenza (con valenza morale) della norma umana, quindi anche della consuetudine, alla veritas, vale a dire alla norma divina.
L’antica dottrina canonista, tutta confluita nella codificazione finora vigente, si è quindi servita del concetto di “ratio” e di quela di “veritas” per limitare il proliferare di usi e consuetudini contrarie ai dogmi della Chiesa. E qui siamo ormai a conclusione della nostra analisi e pertanto ci chiediamo: come si fa a dire che cantare la Paraclisis, celebrare la festa della natività di Maria l'8 settembre e portare l’annuncio della Risurrezione col Cristos Anesti è contro i dogmi della Chiesa ?

Chiariamo definitivamente :
La Chiesa non considera irrazionale una consuetudine mediante i cavilli del codice (p.e.-il timore che l'autonomia della parrocchia di padre Mario non sia piena), ma nell’error vale a dire nella deviazione dalla veritas.
Che quei 20 o 100 fedeli di Papas Nicola che volevano cantare la Paraclisis abbiano una fede corrotta o eretica, che devi dalla veritas, ci pare il colmo.

Il Contessioto

P.S.-
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