StatCounter

lunedì 31 agosto 2009

La Paraclisis cantata a Contessa Entellina e la consuetudine nel diritto canonico

Ci perviene via e-mail l'appunto sulle consuetudini canoniche, che volentieri pubblichiamo qui sotto.
Il Contessioto

Consuetudine. La consuetudine in diritto canonico, diviene norma giuridica non in base al consenso dei sudditi (cioè i fedeli) bensì solo ed unicamente se riceve l'approvazione dell'autorità competente.
Tale approvazione può aversi se ricorrono le seguenti circostanze:
- che la consuetudine sorga in una comunità capace almeno di ricevere una legge, cioè una società perfetta (provincia ecclesiastica, diocesi, Capitolo, ordine religioso);
- che consti di un ripetuto e costante esercizio di atti liberamente compiuti, accompagnati dall'opinio iuris ac necessitatis cioè dal convincimento di compiere atti giuridicamente obbligatori;
- che non sia contraria al diritto divino;
- che sia, invece, razionale, abbia, cioè, un oggetto idoneo;
- che esista una diuturnitas cioè una protrazione per un certo periodo di tempo, di regola non inferiore ai trenta anni.
La consuetudine può essere: universale, se è in vigore in tutta la Chiesa; particolare, se è in vigore solo in determinati territori. In riferimento alla legge (scritta) può essere secundum legem (cioè conforme alla legge); contra legem (cioè contraria alla legge) e præter legem (letteralmente «al di fuori della legge»: se cioè stabilisce qualcosa di non esistente nella legge scritta).
La consuetudine, sia contra che præter legem, può essere revocata con legge o a mezzo di una consuetudine contraria; se, però, non se ne fa espressa menzione, la legge non revoca le consuetudini centenarie o immemorabili, né la legge universale revoca le consuetudini particolari

Mondo contadino



Per poter proseguire nel cammino all'indietro, per poter scoprire ed amare la storia dei nostri padri, ci dobbiamo dotare di alcuni attrezzi. Questo post serve a questo scopo, dobbiamo capire a cosa si riferiscano i nostri vecchi quando, ancora oggi, parlano di onze, rotolo, tumolo etc.

Fino a poco prima dell'unità d'Italia (150 anni fà) il sistema metrico decimale non era stato ancora inserito nel Regno di Sicilia e poi in quello delle Due Sicilie.

Sistema monetario
Fino ai Borboni la moneta ufficiale era l'onza, che si suddivideva in 30 tarì.
Ogni tarì si suddivideva in 20 grani ed il grano in 6 denari.
12 tarì equivalevano a uno scudo.
Il sistema monetario cambiò col subentro della lira, dopo l'unità d'Italia. Ma le nostre nonne fino agli anni '50 del novecento parlavano dell'onza come di una moneta corrente.
Misura di peso
La misura di peso era il cantaro (Kg. 79,3429 che si componeva di 100 rotoli.
Un rotolo equivaleva a 12 once (alla grossa) o a 30 once alla sottile.
Un oncia alla grossa corrispondeva a grammi 66,12, l'oncia alla sottile a grammi 26,45.
Altra misura di peso (per gli oggetti preziosi, i farmaci e le sete) era la libra (Kg. 0,317) di 12 once alla sottile.

Per le superfici
La misura era, e in questo caso possiamo ancora dire è, la salma di 16 tumoli (tumolo = 4 mondelli) che variava di luogo in luogo. Nel 1809 le varie misure locali furono, d'autorità unificate, ma le misure abolite continuarono ad essere ancora in uso. La nostra salma, quella di Contessa Entellina, infatti ancora oggi differisce per esempio da quella di Bisacquino. La salma legale, quella imposta d'autorità, equivaleva per le superfici a ettari 1.74 (per gli aridi a ettolitri 2.75).
Il Contessioto

domenica 30 agosto 2009

2009 fortunato per la pubblicistica su Contessa Entellina. Si apre un filone di approfondimenti culturali ? (Parte Quarta)

Origini e storia di Contessa EntellinaOrigjnat dhe istoria e Kuntises.
Dal titolo del libro promosso dal Comune di Contessa Entellina grazie ad un cospicuo finanziamento dello stato con la legge 482/1999 per la valorizzazione delle minoranze linguistiche, transitato fino a noi però attraverso le mani dell’assessore regionale ai beni culturali, ognuno, attenendosi appunto al titolo, si sarebbe aspettato di poter maneggiare un libro di storia, di approfondimenti sulle vicende del nostro territorio e della nostra gente nei cinquecento anni di presenza in quest’angolo di Sicilia. Invece no, fin dalla premessa l’autore, non reso noto al lettore né in copertina né nei frontespizi, ci avvisa che la monografia non è un libro di storia.

Ed allora cosa è ? non viene spiegato ed è un peccato. Avendone effettuato una prima lettura, tenterò di riportare le impressioni che in me si sono accumulate. Preliminarmente riconosco che l'autore ha ragione nel dire che nell’elegante volumetto, costato comunque una piccola parte rispetto al cospicuo finanziamento di quasi €. 80.000,oo andato, come sempre avviene in questi casi, disperso in mille rivoli sulla scorta di un più ampio progetto (comprendente anche un video) per alimentare la clientela che gravita attorno all’assessorato regionale, non troveremo la storia civile, umana e sociale della popolazione arbreshe, e non arbresh, di Contessa Entellina; immediatamente mi accorgo infatti che le vicende riportate sono il sunto, la scaletta di ciò che è accaduto in più secoli sotto il profilo ecclesiastico a Contessa Entellina. Non quindi la storia di Contessa, ma quella parte di vicenda umana che è stata influenzata dai rapporti ecclesiali fra le due parrocchie e all’interno di esse dai personaggi ecclesiastici di maggior peso. Nulla da eccepire; la grande Storia infatti si riparte in storia civile (quella che ci insegnano prevalentemente nelle scuole pubbliche), in storia militare, in storia del diritto, in storia della chiesa, in storia dinastica e chi più ne ha più ne metta. Questa del libro curato con i fondi pubblici della legge 482/1999 è la storia di sacerdoti che vengono ordinati e che nelle pagine seguenti leggiamo, magari per flash, che sono morti; di chiese costruite, riparate e che crollano per essere nuovamente riparate. E’ un libro con cui si ostentano diritti, privilegi e precedenze fra le parrocchie. Tutte cose interessantissime e che addirittura alla luce di ciò che accade in queste settimane e che probabilmente ancora accadrà nei prossimi giorni assume una certà attualità; mi riferisco al divieto imposto da un sacerdote a fedeli “altri”, “diversi” dai suoi gusti, di pregare nella chiesa della Madonna della Favara. Giustamente, come peraltro evidenzia l’autore, questa non è la storia di Contessa Entellina, è solo un aspetto, sia pure significativo; significativo avrebbe potuto esserlo ancora di più, è bene metterlo in chiaro, se si fosse partito dal principio secondo cui le chiese autocefale bizantine dell’Oriente europeo hanno sempre intrecciato la loro storia con la storia del popolo (ndr. l'acquila bicipite). Quindi se è caratteristica dell’ecclesiologia bizantina rappresentare, nei momenti alti e nei momenti bassi, il popolo, avremmo potuto avere nella vicenda storica di Contessa traccia di questo percorso, ma l'autore è pure lontano da questo presupposto di sviluppo. Il volumetto non lambisce affatto questo aspetto che sarebbe stato peraltro interessante anche sociologicamente e ci avrebbe fatto capire il perchè di tante chiese cristiano-ortodosse nell'Europa Orientale; egli si ferma alla sola vicenda parrocchiale, ignorando anche gli aspetti di pura “religiosità”.
E’ stata sotto questo profilo di analisi quindi una occasione perduta.

Nulla quindi -leggendo il libro- troviamo sulla natura ed i contenuti dello statuto fondativo del nostro paese e della nostra comunità. Conosciamo solamente la data di sottoscrizione fra il feudatario Don Antonio Cardona, ma nulla sui diritti e gli obblighi delle parti in causa, in riferimento ai Capitoli istitutivi dell’universitas, ossia del Comune di Contessa Entellina; nulla dal libro apprendiamo sulla condizione economica e sociale vissuta nel corso dei secoli dai contessioti. Eppure un grande studioso di queste cose, un grande parroco latino, il canonico Genovese, scrisse a fine ‘800 sulla miseria materiale di queste zone; e se un prete di notevole cultura di rilievo nazionale quale il Genovese scrisse della miseria materiale al limite della sopravvivenza della gente di Contessa non lo fece, allora, per amore verso il sociologismo o per il gusto di voler fare il simpatizzante di Filippo Turati, lo fece perché nella sua attività sacerdotale si era accorto che la miseria materiale inevitabilmente si associava allora alla miseria spirituale. Ricordiamoci infatti che siamo nel periodo della prima enciclica sociale della Chiesa, la Rerum Novarum di Leone XIII. Genovese, pur essendo parroco, pur essendo uomo di chiesa, pur essendo uomo di cultura, non trova nemmeno lui posto nel volumetto del Comune.
Il volumetto di storia ecclesiastica contessiota sorvola, lo abbiamo scritto, purtroppo anche sugli aspetti veri della religiosità, dei percorsi bizantini o di quelli romani che conducono alla corretta fede cristiana, per soffermarsi su un continuo, permanente, trionfalismo di una parrocchia sull’altra. Contessa non è mai stata solo “greci” contro “latini”, e quando ciò è accaduto è sempre stato nei momenti più bassi della sua storia (come in effetti lo sono quelli di queste settimane, caratterizzati da stupidi fanatismi che ignorano l’essenza di ciò che è il Cristianesimo. Ma in queste cadute di civile convivenza, comunque, è bene metterlo in evidenza molto meno del 5% della popolazione si lascia trascinare). Contessa è stata lungo i cinque secoli di sua esistenza umiltà e sofferenza cristiana, sfruttamento e sottomissione al potere baronale e mafioso, ma è stata anche comunità desiderosa di riscatto e di salvezza, salvezza materiale, intellettuale e spirituale, in più momenti della sua storia. Questo paese non è stato, per esempio, spettatore passivo del movimento dei fasci siciliani, né dei successivi movimenti per la lotta contro il latifondo. La ricostruzione dal terremoto non è stata solo una burocratica realizzazione di congegni automatici creati a tavolino in qualche parte del mondo. No !
Il libretto di 110 pagine, scritto in italiano e arbresh, non suscita in noi, quindi, motivi di particolare affetto, senza per questo voler far torto all’autore che ha seguito una sua linea ed una sua visione. Però noi con i soldi pubblici avremmo voluto che fosse realizzata una storia civile di Contessa Entellina e non una guida per capire perché a Contessa sopravvive un fanatismo parrocchiale che oggi è, e resterà sempre, fuori tempo. Non sono pochi fra gli abitanti di Contessa coloro che pensano che simili libretti non sono altro che benzina buttata sul fuoco del fanatismo. Per concludere, i contessioti di oggi dalla “guida” apprendono, sia pure di sfuggita, che Don Antonio Cardona in rappresentanza degli antenati arbresh (!!) occupava il XXVI seggio al Parlamento siciliano, ma non vengono informati che un figlio di questa terra, di questo popolo, grazie al consenso democratico, è stato componente del governo della Regione Sicilia. Colpa di costui deve essere stata il non avere mai indossato una tonaca.
Nei flash di storia ecclesiastica la guida segue il metodo classico che vuole -per quanto riguarda la fondazione del paese- che soldati albanesi, mercenari degli Aragonesi, cessato il loro servizio a Mazara, siano stati ospitati sulle terre dei Peralta fin dal 1450, per conseguire nel 1520 i Capitoli legali istitutivi del paese. Da questo punto in poi i flash dell'autore puntano quasi esclusivamente sulle vicende parrocchiali, fino ai giorni nostri, ma non si limitano solo a questo; pagine intere del volumetto riportano l’elencazione sulle date di convegni, discussioni e opuscoli pubblicati nell'ultimo ventennio dall’Associazione Chetta.

No, no davvero; la Storia di Contessa non è stata solo questa. Che l’autore (di cui nonostante la mancata indicazione in copertina conosciamo il nome e cognome) non ce ne abbia. Egli è un appassionato contessioto probabilmente più di chi scrive queste righe, un cultore di ogni nostro grande o piccolo tesoro storico, è in quanto contessioto un nostro amico, ma per quanto riguarda la scia imposta al libro scritto con i finanziamenti pubblici accetti il nostro dissenso.
Mimmo Clesi

P.S.- Ringrazio i gestori di questo sito, con cui ho assunto contatti mediante la e-mail, per avere voluto accogliere la richiesta di pubblicare quanto sopra.

venerdì 28 agosto 2009

Il Rollo di Guglielmo II del 1182 e la divise Batallari

Guglielmo II nel 1182 dota l'appena istituito Monastero di Monreale di possedimenti e privilegi la cui elencazione sarebbe infinita.
Si tratta di territori, casali, e domini che si estendono al di là dei monti che cingono la conca d’oro e che vanno al di là della Valle dello Jato e di quella del Belice. Da questa regia decisione ne discese l’esigenza di delimitare i confini fra i domini regi (demaniali) e quelli che invece sarebbero passati con la concessione feudale alla chiesa di Monreale. Una squadra di topografi fu pertanto incaricata da re Guglielmo perché individuase, delimitasse, nei dettaglio, i confini. Oggi noi siamo in condizione di usare il testo del Rollo, il frutto del lavoro di quei topografi, in italiano, ma allora le copie in originali furono scritte nelle lingue del popolo, il greco (gli indigeni) ed il saraceno (la popolazione sottomessa dopo aver esercitato per 250 anni il dominio). Successivamente i monaci, beneficiari della donazione, curarono la traduzione in latino. Le copie in italiano da noi oggi consulte però, per essere il più aderenti possibili ai testi originari, provengono dalla traduzione che nel tempo è stata curata dal testo saraceno in francese. Nel corso dei secoli il prezioso documento, per le minuziose descrizioni del vastissimo territorio, è stato studiato da decine e decine di studiosi (storici, sociologi, antropologi, topografi e geografi). E’ ovvio che dal 1182 la natura dei luoghi lì descritti è stata sottoposta a sconvolgimenti umani e naturali. Fra il 1200 ed il 1300 il territorio che ci interessa, entro cui ricade quasi per intero l’attuale perimetro del Comune di Contessa Entellina, fu teatro di battaglia degli Svevi contro i musulmani con la conseguente definitiva distruzione di Antella (Entella), con la guerra dei Vespri Corleone, alleata di Palermo, tentò in tutti i modi di neutralizzare la funzione esercitata sul territorio dal Castello di Calatamauro. Nell’accordo che i corleonesi strinsero con Ruggero Mastrangelo nel 1282 chiesero che il castello venisse distrutto.
Nel primo cinquantennio del 1300 il territorio diventa campo di battaglia tra Aragonesi e Angioini ma soprattutto delle grandi famiglie che si contendono la guida effettiva del Regno, i Ventimiglia, i Chiaramonte, gli Alagona, i Peralta ed i Palazzi. Tutte queste vicende, unite alle ricorrenti pestilenze, sconvolsero il territorio sia topograficamente che antropologicamente. Nel 1370, per esempio, il Monastero di Monreale non risulta più abitato da monaci.
Le ripercussioni nel tessuto sociale sono state enormi a causa della desertificazione della zona. Già sul finire del 1200 il territorio di Corleone viene ripopolato con popolazioni lombarde, quello di Jato da popolazioni armene e qualche secolo dopo altre zone vengono ripopolate con gli arbresh (Piana, Palazzo, Contessa e Mezzojuso).
Queste nuove popolazioni inevitabilmente hanno cambiato toponimi e denominazioni di siti, contrade e località. Da qui l’interessamento degli studiosi per tentare di ottenere, di estrarre, dalle lettere antiche trasfuse sul documento atmosfere e modi di vivere di fine 1200.
Precedentemente abbiamo elencato i nomi dei casali che nel 1182 sorgevano sull’odierno territorio di Contessa Entellina: Senuri, Manzil Sind (oggi non ancora individuato) ed altri ancora, localizzabili a Bruca, Realbate, Bagni di Entella, Carrubba, Calatalì, fra questi sulle pagine del Rollo è dato cogliere la ricorrente citazione di Calatalì. Sarebbe il caso che qualche studioso né approfondisse le ragioni.
Su questo documento, ed in particolare sui dettagli che più ci interessano da vicino, per esempio la descrizione della Divise Batallari, torneremo sul nostro sito, per soffermarci sui riferimenti che attengono la sorgente Pomo e la contrada Balatazza, a sud di Santa Maria del Bosco.

Il Contessioto

giovedì 27 agosto 2009

Cantare la Paraclisis non può mai essere 'contra legem'.


La Paraclisis dei greci non è potuta avvenire, in questo 2009, all'interno della chiesa latina perché la parrocchia, affidata pro-tempore a padre Mario, assistita da un avvocato canonista, ha ritenuto di dover far valere una nuova interpretazione sulla consuetudine dei greci di Contessa Entellina di andare a cantare gli inni alla Vergine Maria all’interno della chiesa.
La nuova interpretazione, che tenteremo di spiegare in seguito, purtroppo non è facile da spiegare agli arbreshe, che da oltre 300 anni nella prima quindicina di agosto, con naturalezza e sincerità di fede si recano nella Chiesa della Madonna della Favara per pregare davanti all’immagine della Madre di Dio. Padre Mario ed i suoi più stretti collaboratori hanno ritenuto, in presenza di una situazione nuova, difficile, complessa e ardita da spiegare, di fare ricorso alla forma più antipatica di affrontare i problemi fra gli essere umani: chiudere il portone della chiesa in faccia ai fedeli che volevano pregare e dalla canonica, addirittura, si è osato spiegare, a chi chiedeva chiarimenti, che ognuno deve pregare nella propria chiesa. In questa sede non compete a me valutare quanto sia più o meno cristiano l’approccio adottato.

Tenterò invece di chiarire, visto che non è stato fatto da chi avrebbe dovuto (e se l'ha fatto è avvenuto in ritardo) in forme civili e aperte per la comprensione della gente, in cosa consista il rigetto della consuetudine (peraltro formatasi su presupposti giuridici validi a ridosso del 1700).
La consuetudine consiste in una ripetizione di atti posti in essere da una comunità (quella bizantina di Contessa, nel nostro caso) i quali atti nel tempo vengono assunti come regola di comportamento.
I canonisti nella consuetudine colgono due elementi:
-la continuità nel tempo degli atti posti in essere dalla comunità senza forza obbligatoria (consuetudo facti); ma nel nostro caso la consuetudine si sviluppa sulla base di una transazione.
-il consenso del legislatore (in Occidente l’unico legislatore è il papa) che fa della “consuetudo facti” una consuetudo iurris.

Dalla presenza di questi due elementi si evince che fra consuetudine e legge deve sussistere un certo tipo di raccordo. Intanto, ai fini della nostra disamina, distinguerò tipologie e richiamerò circostanze aderenti al nostro caso:
- consuetudo secundum legem, quando la consuetudine va ad integrare e confermare la legge. Nel nostro caso la consuetudine nasce sulla scorta della legge ecclesiastica vigente nel 1700;
- consuetudo praeter legem, quando la consuetudine nasce per ovviare a lacune legislative. In effetti nel nostro caso essa si è sviluppata non sul solco di una precisa, prevista negli aspetti, fattispecie: l'occasione è stata la cessione ai latini della chiesa per i loro usi, riservandosi i greci la possibilità di celebrare alcuni loro tipici riti.
- Consuetudo contra legem, che si sviluppa in conseguenza di abrogazione della legge, ossia quando per il passare del tempo ed il mutare degli eventi la legge che era a presupposto cessa di apparire ragionevole e nuoce al bene comune dei cristiani. E’ questo il presupposto che i “latini” rivendicano per asserire che ormai la Paraclisis, chi vuole, la deve cantare altrove, ma non nella Chiesa della Madonna della Favara. Essi dicono che questa antica abitudine cozza con le norme sul nuovo ordinamento parrocchiale.

Come sarebbe stato civile distribuire un pò di volantini per spiegare ai contessioti (ed ai fedeli in particolare) l’intenzione dei latini, piuttosto che sbarrare il portone della Chiesa ! E' stato appena appena sussurrato che erano state spedite delle raccomandate a chi di dovere. Ai promotori dell'iniziativa è però sfuggito che, in questo caso, chi di dovere non era la gerarchia ecclesiale, bensì i fedeli rimasti sbigottiti dietro il portone chiuso in faccia a loro.

Perchè la consuetudine dei greci non è contra legem ?
Ma proseguiamo nell’analisi tecnica-giuridica della questione:
La Chiesa Romana in materia di consuetudine si è sempre adeguata ai criteri del diritto romano e quindi al Corpus Iuris Civilis. All'interno di questo sono sempre convissuti tuttavia due principi; il primo ispirato da Giulio Cesare secondo cui la norma (la legge) nasce in modo tacito, per fatti concludenti, attraverso la consuetudine e l'altro, originato dalla concezione teocratica di Costantino, secondo cui il potere legislativo è nelle mani del princeps, pertanto è inammissibile che una consuetudine sia contraria alla legge.
Detto in altre parole: la consuetudine ha forza giuridica in virtù del potere legislativo del popolo che la crea (concezione democratica di Giulio Cesare); in contrario, ove il popolo sia privo del potere legislativo la consuetudine non ha forza legale (concezione teocratica di Costantino).

I canonisti della Chiesa, come in altre circostanze, hanno individuato il modo di uscire da questa situazione di stallo. Con Gregorio IX vennero emanati i decretali “Cum Tanto” con cui viene riconosciuta la consuetudine interpretativa ed è stata ammessa la “consuetudine contra legem” solo se questa è rationabilis e praescripta. In questo modo Santa Romana Chiesa, per uscire dal vicolo, punta a disciplinare, a regolamentare, la consuetudine contra legem precisando che essa è da rigettare solo se è contra rationem. La chiesa in pratica ammette che una consuetudine possa derogare al diritto positivo (per esempio, l'ordinamento parrocchiale come nel caso sollevato dai “latini”, che non mancano di mostrare uno stato di frustrazione ogni volta che i "greci" pregano nella loro chiesa) purchè la consuetudine sia rationabilis e praescripta.
Con questa scappatoia, nel corso dei secoli, il diritto canonico si è affrancato, su questo punto, dal diritto romano. Perché la consuetudine possa acquistare valore normativo serve quindi il consenso delle Autorità ecclesiastiche “adprobatio”. Cosa che nel caso di Contessa è sempre avvenuto su iniziativa dei Vescovi, prima di Girgenti, poi di Monreale e quindi di Piana. Anche in presenza del codice del 1917 e di quello del 1983, nel 1990, infatti si è pure pronunciato il Vaticano in seguito ad un ricorso allora presentato, ancora una volta, su questa materia.
Perché il Vaticano, in vigenza del codice di diritto canonico del 1983 (che peraltro non fa che attenersi ai decretali di Gregorio IX –di mille anni fà-), ha ritenuto la rationabilitas della consuetudine sulla Paraclisis e sul resto delle consuetudini (festa 8 settembre e Cristos Anesti)?
Perché nel diritto canonico conditio sine qua non di efficacia della consuetudine (dovesse pure essere contra legem) è che essa sia conforme alla ratio. La ratio non è altro che la rispondenza (con valenza morale) della norma umana, quindi anche della consuetudine, alla veritas, vale a dire alla norma divina.
L’antica dottrina canonista, tutta confluita nella codificazione finora vigente, si è quindi servita del concetto di “ratio” e di quela di “veritas” per limitare il proliferare di usi e consuetudini contrarie ai dogmi della Chiesa. E qui siamo ormai a conclusione della nostra analisi e pertanto ci chiediamo: come si fa a dire che cantare la Paraclisis, celebrare la festa della natività di Maria l'8 settembre e portare l’annuncio della Risurrezione col Cristos Anesti è contro i dogmi della Chiesa ?

Chiariamo definitivamente :
La Chiesa non considera irrazionale una consuetudine mediante i cavilli del codice (p.e.-il timore che l'autonomia della parrocchia di padre Mario non sia piena), ma nell’error vale a dire nella deviazione dalla veritas.
Che quei 20 o 100 fedeli di Papas Nicola che volevano cantare la Paraclisis abbiano una fede corrotta o eretica, che devi dalla veritas, ci pare il colmo.

Il Contessioto

P.S.-
Chi vuole controdedurre può liberamente farlo mediante i commenti o, se ritiene, inviandoci un testo da pubblicare con la e-mail del sito. L'unica condizione è il rispetto di tutte le posizioni.

mercoledì 26 agosto 2009

Proverbi arbresh

Sono giunti alla nostra e-mail e pubblichiamo i proverbi che seguono.
Il Contessioto

1) Me thuaj me ke rri, te te them cili je.
Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.

2)Dy gjela nuk rrinë në një kafaz.
Due galli non ci stanno in una gabbia.

3)Dy mace mundin një ari.
Due gatti battono un orso.

4 Ujku qimen e ndërron por zakoni nuk e harron.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio.

5)Al. Ku është balta më e ëmbël se mjalta?
It. Dove il fango è più dolce del miele?

6)Punen e sotme mos e ler per neser
Il lavoro di oggi non lasciarlo per domani.

7) Shiko Veten Tende Pastaj Flit Per Tjetrin.
Giudica te stesso prima di giudicare gli altri.

8) Bëj nder e gjej qeder
Fai del bene e vivrai bene

9)Dita me diell duket që në mëngjes.
Il buongiorno si vede al mattino

10) Zoti vonon, po nuk harron.
Dio tarda ma non dimentica.

11) Kush me shpres rron me shpres vdes.
Chi vive di speranza di speranza muore

12) Dashuria per rinine si qumeshti per Femine
L`amore per i giovani e` come il latte per i bambini

13) Gure, gure ngrihet kalaja.
Mattone dopo mattone si costruisce il castello

Il terremoto del 14 gennaio 1968 (Parte Prima)

A ventiquattro ore dal sisma, il 15 gennaio, quanto accaduto nel Belice arriva a Roma al Governo, con rapporti assolutamente carenti ed insufficienti redatti dagli uffici periferici.
Riportiamo, sotto, la parte iniziale della relazione svolta dal sottosegretario all’interno, Gaspari, mandato dal Governo a rispondere alla Camera dei Deputati alle interrogazioni presentate dalle varie parti politiche.

Il Contessioto
Gaspari - Signor presidente, onorevoli colleghi, rispondo alle interrogazioni che sono state presentate da tutte le parti politiche in merito al gravissimo lutto che ha colpito la regione siciliana ed il nostro paese. Voglio augurarmi che le notizie che a mano a mano giungono al Ministero dell’interno, non denuncino ulteriori aggravamenti di una situazione che si appalesa, già da questo momento, estremamente grave per il numero delle vittime, dei feriti e dei danni cagionati nella Sicilia occidentale.
I fatti hanno avuto inizio alle 13,29 del 14 gennaio scorso, quando una scossa sismica, il cui epicentro è stato individuato al confine delle province di Trapani, Palermo e Agrigento, ha colpito una vasta fascia della Sicilia occidentale, seguita a brevi intervalli da due lievi repliche.
Alle ore 14,16 si è avuta una nuova scossa registrata dai sismografi dell’Istituto nazionale geofisico al settimo grado della scala Mercalli, e rinnovatasi con uguale intensità alle 16,49. Alle ore 2,34 di oggi, 15 gennaio, si è avuto un nuovo movimento tellurico cui è seguita alle ore 3 un sisma più violento, la cui intensità ha raggiunto circa il nono grado della scala Mercalli. Qualche altra scossa di minore intensità è stata anche in seguito avvertita.
Fin dalle prime scosse telluriche che provocarono vivo allarme tra le popolazioni e danni e lesioni a varie abitazioni ed edifici pubblici principalmente dei comuni di Roccamena, in provincia di Palermo, Salaparuta, Gibellina e Poggioreale, in provincia di Trapani, Montevago, Menfi, Santa Margherita di Belice, Sambuca di Sicilia, in provincia di Agrigento, sono stati subito operati interventi di soccorso a mezzo dei vigili del fuoco e delle forze di polizia, per l’adozione delle misure più urgenti. E’ stato altresì disposto che una parte della colonna mobile dell’ottava zona di protezione civile, al completo di tutte le attrezzature necessarie, raggiungesse le zone colpite.
Inoltre dal nucleo di Palermo della protezione civile sono stati avviati verso le zone colpite carri ferroviari ed autopullman per il trasporto dei sinistrati, nonché autocolonne della pubblica sicurezza, dei vigili del fuoco e dei carabinieri con 1950 coperte, 150 tende, 2.000 teli da tenda e 4 cucine da campo.
Il preteffo di Trapani, constatata personalmente la situazione determinatasi nel comune di Gibellina, dove erano in corso le elezioni per il rinnovo di quell’amministrazione comunale, ha disposto, d’intesa con la competente Corte d’appello, la sospensione delle operazioni elettorali.
Il ministro dell’interno ha disposto, nello stesso pomeriggio di ieri, una erogazione straordinaria di lire 100 milioni per i primi aiuti alle popolazioni colpite.
Purtroppo, le nuove scosse registratesi nel corso della notte –ed in specie quelle delle ore 3- oltre a provocare vivissimo panico tra le popolazioni, che hanno abbandonato le case riversandosi in località lontane dagli abitati, hanno causato vittime e danni ingenti.
In particolare sono stati nuovamente colpiti in provincia di Trapani i comuni di Gibellina e Salaparuta, ai quali si sono aggiunti i comuni di Santa Ninfa e Salemi, dove si sono avuti danni assai ingenti per crolli e lesioni negli abitati.
Presso l’ospedale civile di Castelvetrano sono stati registrati sette morti e ricoverati ventisette feriti. A Salemi risultano decedute due persone; un automezzo della polizia, che recava viveri e coperte, giunto nell’abitato di Gibellina è stato travolto da un’improvvisa caduta di macerie. Sei degli uomini che erano a bordo hanno riportato ferite e contusioni.
Non si hanno ancora informazioni precise per poter fare un bilancio complessivo delle vittime e dei danni, in quanto le comunicazioni con le zone colpite sono interrotte, Purtroppo, secondo le segnalazioni relative alla provincia di Agrigento, i morti nel comune di Montevago ascenderebbero a circa 200; l’abitato è stato quasi nella totalità distrutto. A Santa Margherita di Belice sono stati accertati 7 morti. Il numero complessivo dei feriti è assai elevato nei centri più colpiti.
Data la gravità della sciagura, il ministro dell’interno onorevole Taviani è partito stamane per la Sicilia, in aereo, accompagnato dal direttore generale per l’assistenza pubblica e da altri funzionari tecnici del Ministero dell’interno.


…. (l’intervento informativo del sottosegretario prosegue, ma sempre con dati approssimativi poiché, all’inizio -24 ore dopo l’evento-, non si aveva ancora la cognizione di ciò che era accaduto nella Valle del Belice).

martedì 25 agosto 2009

Convento ricco, monaci poveri. Il Comune spreme con la tarsu 2008 e la Regione lo premia

La regione Sicilia distribuirà a breve 20 milioni di euro agli enti locali, ossia ai comuni. Si tratta di trasferimento di fondi con carattere di premialità determinata dall'Assessorato Famiglia a favore di quei comuni che nel 2008 si sono evidenziati nel perseguire certi parametri di riferimento:

-capacità di riscossione tributi
-sforzo tariffario e fiscale

per la verità i parametri previsti dalla normativa sono sette, ma quelli da noi riportati sono quelli che hanno consentito al Comune di Contessa Entellina di poter accedere a €. 124.000,oo che andranno a dare ossigeno all'asfittico bilancio.

La notizia non può che dare soddisfazione a menti distratte e ad occhi abbagliati. Se infatti questa è una buona notizia sul fronte amministrativo è anche l'attestazione, la conferma, che il nostro Comune nel 2008 ha operato da vampiro ai danni delle nostre famiglie.
Come possiamo infatti dimenticare che per ottenere la premialità dell'assessorato è stata incrementata del 160% la tariffa sull'immondizia (tarsu) 2008 ? Buona notizia sul fronte amministrativo, in questo caso, significa grave danno sul piano sociale, ma anche insensibilità amministrativa da parte di chi ha puntato a conseguire il primato dell'incremento più alto in tutta Italia (+ 160% sul 2007).

Il Contessioto si augura che le Associazioni dei Consumatori sappiano fare, quando arriverà il tempo opportuno, il loro dovere a tutela dei cittadini.
Il Contessioto

lunedì 24 agosto 2009

2009 fortunato per la pubblicistica su Contessa. Si apre un filone di approfondimenti culturali ? (Parte Terza)

Occasione della ricerca su “La donna nella cultura minoritaria – tra tradizione e innovazione – Contessa Entellina” condotta dall’Istituto Scolastico Statale “F. Di Martino” col coordinamento di Anna Fucarino è stata la partecipazione della scuola alla XVI rassegna culturale folcloristica per la valorizzazione delle minoranze etniche, che come è noto quest’anno si è svolta a Contessa. All’interno della manifestazione è infatti compresa una ricerca-concorso finalizzata alla riscoperta dell’identità delle culture minoritarie. Nella presentazione della ricerca, nell'opuscolo diffuso, il Dirigente scolastico, prof. Nicola Monte, scrive “E’ … di fondamentale importanza e indispensabile che gli alunni conoscano la propria storia e che approfondiscano le conoscenze delle proprie origini e delle proprie tradizioni. Essi devono essere orgogliosi e fieri di possedere delle peculiarità non indifferenti. …. Chi non ha memoria storica, non ha futuro, non sa da dove viene e dove deve andare…”. Indicazioni queste del Dirigente scolastico che Anna Fucarino, coordinatrice, fa proprie e concretizza nell’elaborato di 50 pagine sviluppato assieme ai suoi allievi ‘sul campo’, ossia intervistando persone, raccogliendo testimonianze e vecchie foto. Il testo con le meravigliose fotografie, viene presentato in due versioni, in italiano ed in arbresh. La prima parte dell’opuscolo parte dallo storico ripopolamento che gli arbresh fanno, nella seconda metà del XV secolo, del casale abbandonato Vinea Comitissa e dalla descrizione del contesto territoriale su cui la nuova comunità, con costumi e riti bizantini, si insedia. Dopo aver individuato nel sisma del 1968 la svolta sociale fondamentale che inciderà irreversibilmente sul modo di vivere contessioto, Fucarino passa a descrivere le funzioni che prima di allora la donna assolveva nella famiglia e nella comunità: lavorare sia in casa che in campagna in compiti di supporto alla famiglia; preparare la pasta e il pane, entrambi fatti manualmente con la farina ottenuta dal grano portato al mulino; approvvigionare la casa con acqua attinta nelle fontane distribuite per il paese; lavorare, colorare, tessere la lana per filarla e farne indumenti. Queste funzioni vengono narrate, lo ripeto, direttamente dalle persone anziane che gli allievi di Anna Fucarino hanno intervistato direttamente nelle loro case. Il volumetto ci offre anche di leggere in cosa consisteva l’alimentazione tipica di una famiglia contadina: “.. i pasti erano molto poveri e costituiti essenzialmente da legumi e cereali, mentre la carne, era un alimento privilegiato che si mangiava solo per le festività. Per colazione vi era il pane cotto con latte ed acqua. A pranzo generalmente pane e formaggio, la sera a cena c’era la pasta con verdure, lenticchie o fave e legumi”. La donna in casa, in genere, tagliava e cuciva vestiti, tesseva tappeti, u cutruni, coperte con lana di pecora, la frazzata o polaca, confezionava maglioni, calze, berretti. Vengono riportati quindi tutti i passaggi lavorativi necessari dalla mietitura “me drapi” , al lavoro degli spigolatori e poi a quello sull’aia, fino alla macinazione del grano, nei quali l’apporto della donna risultava, ancora una volta, fondamentale.
Dopo aver riferito sul ruolo che prima del terremoto aveva la “Gjitonia-vicinato”, la ricerca di Fucarino e dei suoi allievi rileva la persistenza ancora oggi di alcune antiche attività, grazie alla passione, per esempio, di due sorelle, Giuseppina e Maria e così pure Nicetta, che ancora conoscono il ricamo, il cucito ed il tombolo appreso nella loro fanciullezza frequentando la casa delle suore Basiliane di Contessa, quindi descrive l’ulteriore passione di due insegnanti oggi in pensione in cui è facile individuare Giuseppina Cuccia e Tommasa Guarino che hanno dedicato tanta parte del loro impegno giovanile a sensibilizzare le famiglie, nella scuola, spesso fra l’incomprensione del più vasto contesto docente allora non sufficientemente aperto alla tematica della conservazione etnica, e all’esterno di essa, con una rudimentale e pionieristica radio. Anche Anna Fucarino descrive nella sua ricerca le fasi che dal fidanzamento conducono al matrimonio, passando per la dote, come già contestualmente andava sviluppando l’analogo suo lavoro Rosa Cuccia Genovese, senza che l’una conoscesse l’attività dell’altra. Rosa Cuccia Genovese descrive matrimonio e fidanzamento sulla base di documenti settecenteschi, Anna Fucarino sulla base della testimonianza di persone anziane, appunto con l'inchiesta “sul campo”. Le loro descrizioni, nei passaggi fondamentali, non divergono di molto, segno che fino al terremoto del 1968 la vita contessiota non aveva subito significative evoluzioni rispetto al settecento.
Anna Fucarino si è accinta alla ricerca con dedizione e impegno non comune. Si evince, fra le righe, che per lei condurre la ricerca non si è trattato di un impegno lavorativo ma di un impegno culturale tutto suo, che discende dal suo animo, sempre guidato dall'interrogativo che essa pone in ogni occasione pubblica: perché a Contessa tanta gente non si rende conto della straordinaria importanza di possedere un patrimonio culturale unico nel contesto territoriale limitrofo ?
Anna Fucarino oltre che insegnante è anche consigliere comunale ed è in quest’altra veste che essa prolunga il suo impegno di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale dei contessioti, che, a suo parere potrebbe costituire fattore di crescita e sviluppo socio-economico. I due ruoli messi insieme le forniscono l’orizzonte ideale per individuare i punti critici della realtà che lei vorrebbe migliore. Le auguriamo di non demordere mai dalla sua generosa e allo stresso tempo concreta valutazione.
Il Contessioto

domenica 23 agosto 2009

2009 fortunato per la pubblicistica su Contessa. Si apre un filone di approfondimenti culturali ? (Parte seconda)

L’agile libro “I Capitoli Matrimoniali stipulati a Contessa tra XVII e XVIII secolo di Rosa Cuccia Genovese” si legge in una volata perché riesce sin dalle prime pagine a suscitare la curiosità del lettore. Si tratta di un volume di 64 pagine che come sottotitolo riporta “matrimonio, costume, consuetudini nuziali greche”. Sin dalla premessa Rosa Cuccia Genovese, ex insegnante seria ed impegnata delle scuole contessiate per parecchi decenni e dalle cui cure sono stati avviati a scoprire i doveri della vita centinaia di ragazzi, ci dice che la finalità della sua ricerca è stata quella di individuare un elemento vitale della cultura arbresh di Contessa, il costume che da noi è scomparso da tempo immemorabile. Essa si è avvalsa di documentazione proveniente dall’archivio Genovese che conserva carteggi di varie generazioni di antenati, fino a risalire agli ascendenti più antichi del XVI secolo. Rosa Cuccia Genovese ha cercato, quindi, documenti per fornire elementi utili al recupero del vero costume arbresh di Contessa ma contestualmente ci ha regalato preziosi documenti dotali del 1690 ed altri capitoli matrimoniali compresi fra il XVII e il XVIII secolo. Allega al libro un “trasunto” del 1719 che l'autrice spiega, è la riproduzione, in copia legale, di una scrittura privata del 1706. In pratica ci descrive come avveniva, allora, la costituzione della dote ma anche come si svolgevano tutti i passaggi, tutte le fasi, per addivenire alla celebrazione matrimoniale “alla greca grecaria” e secondo la “forma del Concilio di Trento”.
Culturalmente interessanti sono le riflessioni che Cuccia Genovese ci rassegna:
-In quell’epoca il matrimonio è concepito ancora come un contratto tra lo sposo ed il padre della sposa (la volontà della ragazza era infatti ininfluente);
-Il matrimonio veniva progettato e gestito dalle famiglie dei rispettivi promessi sposi;
-La dote ma anche i rapporti di alleanza fra famiglie avevano il loro peso per la combinazione matrimoniale;
-“Dotare” la ragazza era un dovere del padre;
-Esisteva equivalenza strutturale fra la tipica famiglia arbresh e la famiglia dei primi nuclei siciliani che si insediavano in paese;
Il rituale per arrivare al matrimonio seguiva vari passaggi: il patteggiamento della dote fra capi famiglia (oggetto della dote erano: terreni, case, capi di biancheria, vestiti, ori); l’accordo veniva quindi affidato alla scrittura (promessa di matrimonio sotto l’ecclesiastica benedizione); adeguati festeggiamenti, tendenti ad accrescere il prestigio sociale della costituenda famiglia, accompagnavano la consegna degli oggetti dotali nel periodo compreso fra gli 8 ed i 15 giorni antecedenti la celebrazione del matrimonio (grande pompa quindi); Benedizione nuziale preceduta da festosi cortei, addobbi ed usanze che sanno di Oriente che, lo sottolinea Rosa Cuccia, avviene nella forma prescritta dal Sacro Concilio di Trento; ma non è ancora finito, seguirà infatti la formalizzazione della dote con atto notarile, o quanto meno scrittura redatta dal sacerdote, e poi ancora la stima dei beni fatta da due pubblici ufficiali nominati dal comune (curia civile).
L’amore per le cose contessiate, per la storia e la tradizione, di Rosa Cuccia Genovese traspare in ogni rigo dell’interessante volume. Essa ci ha regalato la riscoperta di due aspetti vitali della cultura arbresh, lo dice essa stessa nelle conclusioni, il costume femminile e la consuetudine nuziale arbresh, e di questo il Contessioto (greco, latino o agnostico), le è grato. L’augurio che formuliamo è che Rosa Cuccia continui a tirare fuori dall’archivio Genovese altre perle.

Il Contessioto

2009 fortunato per la pubblicistica su Contessa. Si apre un filone di approfondimenti culturali ? (Parte Prima)

Si, il 2009 è un anno fortunato per la pubblicistica su Contessa Entellina. Sul nostro tavolo abbiamo quattro novità editoriali che arricchiscono quella che, per la verità, è la ridotta biblioteca sulle cose di Contessa. Ci auguriamo che l’avvenire ci dischiuda tante pagine della vicenda della nostra gente. La nostra gente è arbresh, che per chi si ostina a non voler capire, non significa “albanese” ma italo-albanese. Arbresh vuol quindi significare gente con ascendenze in parte albanesi ed in parte sicule. Il 95% della gente di Contessa, o per parte di madre o per parte di padre, nel proprio albero geneaologico si imbatte in capostipiti di entrambi le provenienze. Se non fosse così non saremmo arbresh, potremmo essere italici ovvero squiptara (=albanesi d’Albania). Siamo invece arbresh, avendo ovviamente tutti la cittadinanza italiana. In quanto arbresh siamo per la Costituzione Italiana una minoranza da tutelare, da apprezzare e da rivalutare. Per la coscienza del nostro Stato, della nostra Repubblica, non siamo quindi da ghettizzare, da meritare la chiusura delle porte in faccia, ma da additare come gente ricca di una coscienza propria, quella coscienza ed identità che invece in altre parti del paese, altre etnie (normanni, spagnoli etc.) e altre realtà umane hanno perso.
In uno dei quattro libri che nel 2009 vengono a portare chiarezza sul nostro passato, in quello curato da Rosa Cuccia Genovese ci piace leggere la riflessione iniziale “Quando un popolo non ha più un senso vitale del suo passato si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato” –C. Pavese-. Probabilmente nel riportare il messaggio sulla testata del nostro sito siamo stati guidati da Rosa Cuccia Genovese e dalla sua scelta rievocativa del pensiero di Pavese.
Ma torniamo ai nostri quattro libri, di cui nel tempo ci proponiamo di dedicare a ciascuno un post di commento. In questo ci limitiamo a prendere atto che qualcosa si va facendo avanti nelle nostre coscienze di abresh, gente normale che non è e non intende essere né fanatica, né fantasiosa (sarà l’altro libro del 2009 di Matteo Mandalà a ricordarcelo, invitando taluni che sono portati naturalmente a sognare passati inesistenti a porre i piedi per terra), né respinta da gente che non fa nessuno sforzo per aprirsi, che dell’ignoranza fa un idolo. Nessuno può pretendere che dovremmo essere omologati al resto dei paesi vicini, perché siamo cittadini della repubblica al pari (qualcuno dice con tutela maggiore) di chi presume di essere italiano normale di Caropepe. Tutti gli italiani abbiamo, nelle varie realtà del paese, qualcosa che ci caratterizza rispetto ad un’altra zona del paese. Noi rispetto ai discendenti (!) dei normanni di Cefalù abbiamo la fortuna, opportunità, di beneficiare dell’art. 6 della Costituzione “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”. Le apposite norme sono arrivate ad oltre cinquant’anni dalla Costituzione con la legge 482/1999 (merito, sia pure indiretto, anche del nostro Fr.sco Di Martino). A noi non resta che dedicare un pochettino di orgoglio in più per ciò che siamo, ossia italo-albanesi (arbresh e non skiptara). L’orgoglio e l’entusiasmo lo trasfonde Anna Fucarino a chi legge l’altro libro di questo 2009 su Contessa, da lei curato nell’ambito dell’Istituto Scolastico Statale “F. Di Martino”. E per capire l’approccio di Anna Fucarino ci piace riportare un brano di un suo recente scritto diffuso su un foglio della locale Camera del Lavoro. “La nostra etnia è un bene prezioso che ci è stato tramandato per sei secoli e noi abbiamo il compito di farlo conoscere e tramandarlo alle generazioni future … Sembra strano che questo discorso sia fatto da una contessiota i cui progenitori non erano di origine arbresh, ma che nel tempo, naturalizzandosi in questa cultura che li ha accolti, hanno trasmesso a noi figli e nipoti la lingua e la cultura da loro appresa durante gli anni di permanenza a Contessa”. Fucarino ha sinteticamente spiegato, in poche righe, chi sono gli arbresh: non i greci da soli, non i latini da soli, non i protestanti da soli. Gli arbresh sono tutti gli abitanti di Contessa Entellina. L’ultima novità editoriale è realizzata grazie ai fondi che originano da quell’articolo costituzionale, il 6, sopra richiamato. Il libro realizzato col coordinamento del Comune è stato finanziato in entità non disprezzabile proprio perché Contessa è arbresh e non perché una parte di Contessa è arbresh. Di tutti abbiamo citato l’autore, di quest’ultimo riportiamo solo il titolo “Origine e storia di Contessa Entellina” a causa di una probabile omissione editoriale.
I 4 libri su Contessa e la realtà arberesh (italo-albanesi) del 2009, quindi, sono:
-I Capitoli Matrimoniali stipulati a Contessa tra XVII e XVIII secolo di Rosa Cuccia Genovese
-La donna nella cultura minoritaria tra tradizione e innovazione – Contessa Entellina – Istituto Scolastico Statale “F. Di Martino”, coordinato da Anna Fucarino
-Origini e Storia di Contessa Entellina – Comune di Contessa Entellina
-Mundus vult decipi – I miti della storiografia arbereshe di Matteo Mandalà
Il Contessioto

Porte aperte a Santa Maria del Bosco il 28 e 29 agosto.


Apprendiamo e riportiamo.
In linea generale non commenteremo su questo sito gli avvisi che ci perverranno. Noi che siamo laici, però, non possiamo fare a meno di rilevare che nel programma che riportiamo sotto due gerarchi della Chiesa Cattolica non si incontreranno e soprattutto non concelebreranno insieme.
Il Contessioto

L’Amministrazione comunale di Contessa Entellina col patrocinio dell’Assessorato Regionale BB.CC.AA. e P.I. ed in collaborazione con il Centro Culturale Parrocchiale e l’Associazione Culturale “Nicolò Chetta” di Contessa Entellina, nell’ambito delle celebrazioni del VII centenario (1309-2009) di consacrazione della chiesa di S. Maria del Bosco, sia per ricordare il plurisecolare legame storico, culturale, religioso e sociale di Contessa e dei paesi limitrofi con l’antico Monastero sia per tenere vivo l’interesse e l’impegno per il suo recupero e la sua valorizzazione.
Invita la S.V.

A partecipare alle varie manifestazioni religiose, culturali ed artistiche, previste nel programma dettagliato di seguito riportato.

F.to L’Assessore al Turismo Giusi Bellini
F.to Il Sindaco Dott. Sergio Parrino
PROGRAMMA

28 agosto, Venerdì, primo chiostro

*Ore 11 Divina Liturgia presieduta da S.E. mons. Sotir Ferrara, Eparca di Piana degli Albanesi
*Ore 18 S. Messa presieduta da S.E. mons. Salvatore Di Cristina, Arcivescovo di Monreale
*Ore 21 Concerto dell’orchestra d’archi “Filarmonica di Palermo” ( Maestro concertatore Onofrio C. Gallin)


29 agosto, Sabato, primo chiostro

*Ore 10,30 Convegno “S. Maria del Bosco: situazione e prospettive”
Saluto e introduzione (dott. Sergio Parrino, sindaco di Contessa E.)
Saluto dei sindaci presenti

RELAZIONI

Origini di S. Maria del Bosco (Prof. Ignazio Parrino, docente emerito in Lingua e Letteratura Albanese, Università di Palermo)
Una cultura attraverso le sue opere d’arte (Prof.ssa Anna Maria Schmidt, docente di Storia dell’Arte, Università di Palermo)
S. Maria del Bosco ed i comuni limitrofi (Dott. C. Raviotta, Presidente Ass. “Nicolò Chetta”)
INTERVENTI

Assessorato Regionale BB.CC.AA. e P.I. – Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo (d.ssa Adele Formino)
Amministrazione Provinciale di Palermo
Sindaco di Bisacquino (Dott. Filippo Contorno)
Azienda Agricola “S. Maria del Bosco” (Dott. Guido Inglese)
* Ore 21 Concerto dell’Associazione Bandistica “G. Ferrara” di Contessa Entellina

giovedì 20 agosto 2009

Contessa nella seconda metà del '300 era un casale abbandonato.

Le notizie sul casale di Contessa, nel tardo medioevo, sono estremamente scarse; nella seconda metà del ‘300 passa ai Peralta, famiglia i cui esponenti erano stati fra i quattro vicari del Regno durante la minoretà della regina Maria e la cui potenza era tale da potere aprire una zecca di monete a Sciacca, nonostante i divieti regi; uno stato nello stato. In quel periodo Contessa, feudo, ricade amministrativamente nella Val di Mazara, territorio di quasi esclusiva appartenenza dei Peralta.
L'ubicazione è a breve distanza dal borgo fortificato Batellaro, dal monastero di Santa Maria del Bosco e dal castello di Calatamauro, tutte realtà del tessuto sociale ed economico di quell’epoca. Batellaro ricade sotto la signoria arcivescovile di Monreale, S. Maria del Bosco comincia ad accrescere la propria importanza grazie ai donativi fondiari dei Peralta ma ecclesiasticamente dipende dalla giurisdizione del vescovo di Girgenti (Agrigento), mentre Calatamauro è presidio militare negli anni a ridosso dell’insurrezione dei vespri siciliani, diviene centro amministrativo feudale dopo, per venire successivamente completamente abbandonato.
Se dalla metà del ‘300 andiamo con la macchina del tempo, ai fini del nostro discorso, a 170 anni indietro vediamo una realtà sostanzialmente differente. Sul finire dell’anno millecento viene steso il Rollo, ossia quel documento con cui il re normanno Guglielmo II dona, nel 1182, tutto l’entroterra dell’isola al neo istituito arcivescovado di Monreale. Questo prezioso documento, redatto in greco e arabo (lingue più diffuse all’origine del Regno di Sicilia) e successivamente tradotto in latino, aveva una finalità pratica, descrivere nei dettagli i confini territoriali della donazione. Grazie a questo documento possiamo fra l’altro, ancora oggi, risalire ad una dettagliata rivisitazione del territorio che oggi fa parte del Comune di Contessa.
Il Rollo, o Jarida, del 1182, descrive la realtà territoriale di un’area molto vasta che comprende quattro “Divise” (distretti), ossia Jato, Corleone, Batellaro e Calatrasi.
Secondo studi condotti da vari ricercatori, fra cui studiosi della Scuola Normale di Pisa, l’odierno territorio di Contessa Entellina ricadeva, allora, nelle Divise di Batellaro e Calatamauro (quest’ultimo non donato all’Arcivescovado e, quindi, rimasto feudo demaniale).
Con questo preziosissimo documento siamo in condizione di localizzare corsi d’acqua, pozzi, piante secolari, viabilità, mulini idrici e possiamo renderci conto inoltre di quanto fosse parecchio più vasto il bosco di S. Maria, rispetto all’attuale estensione.
Abbiamo, ad esempio, notizia della strada della Serra che viene da Kalatamauro /viam Serre que ducit de Kalatamauru/, senza che però si dica che quella via, per collegare i capoluoghi delle due "divise" avrebbe dovuto attraversare Contessa; possiamo conoscere tratti del confine fra Batellaro e Calatamauro, dove stanno “dy xhaje”, che gli arbreshe, tre secoli dopo, trasformeranno in “di gardhet”, ossia due confini.
La curiosità, ovviamente, è di capire se esiste qualche cenno su Contessa. Nulla. Di centri abitati riportati sul Rollo ve ne sono, alcuni di essi esistono ancora ai nostri giorni, di altri si è persa invece la memorie. Sono citati Corleone, Bisacquino, Batellaro, Entella (non tanto la città, ormai decaduta, ma il castello medievale di Pizzo della Regina), Calatamauro e poi una lunga serie di casali. Fra quest’ultimi, quelli che insistevano sull'odierno territorio di Contessa, sono Senuri, Manzil Sindt ed altri ancora, localizzabili a Bruca, Realbate, Bagni di Entella, Carrubba, Cautalì .

Tentiamo, stante questa situazione, di capire cosa si intenda nel tardo medio evo per ‘casale’ (rahl o manzil, in arabo).
I casali fioriscono a cominciare dall’anno mille come cellule di lavoratori agricoli dell’organizzazione territoriale araba e poi normanna; pochi nuclei familiari, non oltre dieci, le cui abitazioni non sono protette da mura o da altre difese e che dipendono amministrativamente e militarmente dal territorio di un castrum (castello). I loro abitanti sono i ‘villani’, cioè i contadini privi di diritti e di valore perché appartenenti alle etnie sottomesse (la popolazione greco-bizantina, prima, quando in Sicilia arrivarono gli arabi e gli arabi quando giunsero i normanni). Era povera gente, abbrutita dalle disagevoli condizioni di vita, il cui destino era lavorare la terra e cercare di sopravvivere. Le abitazioni erano semplici pagliai, ossia capanne costruite con pietra a secco e coperte con tetti rivestiti di rami. L’arredo consisteva del giaciglio di paglia, il focolare, la cassapanca con poche stoviglie di terracotta. Accanto ai loro pagliai talvolta c’era il magazzino del feudatario ed una cappella curata, nella fase iniziale di questi aggregati umani, dai monaci basiliani e successivamente dai benedettini.
E’ durante il breve periodo angioino che il villanaggio, forma assoluta di sottomissione dell’uomo all’uomo -al punto che scappare, abbandonare il casale autorizzava il signore ad infliggere la morte-, viene abolito. Siamo, già, alle soglie del 1300. Inizia in Sicilia quasi un secolo di guerre e di epidemie. Nel corso del trecento tutti i casali dell’isola vengono infatti abbandonati.
Nel quattrocento i nobili feudatari per ripopolare i loro domini punteranno sulle “terre”, ossia centri rurali con almeno ottanta famiglie che, contrariamente ai casali, verranno fortificati. Nella giurisdizione delle 'terre' i feudatari realizzeranno, specialmente a decorrere dal '500, le masserie (nel nostro caso sarà costruita quella di Vaccarizzo), pure esse fortificate. Ma questa è un’altra storia.

Contessa casale, prima del ripopolamento degli arbreshe, non ha alcuna storia a sé stante. La storia del ‘villanaggio’ feudale appartiene, comunque, a tutto l’interno della Sicilia. E', quindi, pure nostra, di noi contessioti.
Il Contessioto

Denuncia per immigrazione clandestina-


Sul sito www.melitoonline.it/ leggiamo quanto qui sotto riportato.

Palermo, 13 agosto 2009. E’ scattata ieri nel pomeriggio la prima denuncia nel corleonese per il reato di immigrazione clandestina introdotto con la legge 94 del 2009, entrata in vigore l’8 agosto scorso e meglio nota come Pacchetto Sicurezza. A procedere sono stati i Carabinieri della Stazione di Contessa Entellina dipendente appunto dalla Compagnia Carabinieri di Corleone che, durante un predisposto servizio di controllo alla circolazione stradale, hanno fermato, ad un posto di controllo, un’autovettura con a bordo tre cittadini extracomunitari.
I militari dell’Arma hanno quindi proceduto al controllo degli occupanti dell’autoveicolo verificando che uno di loro era privo di qualsiasi documento di riconoscimento e del permesso di soggiorno. L’uomo, identificato successivamente in K.H. 36enne originario del Marocco, disoccupato, veniva inizialmente condotto presso la Stazione Carabinieri di Contessa Entellina e successivamente presso l’Ufficio Stranieri di Palermo.
Dagli accertamenti esperiti si vetrificava che K.H. era privo del permesso di soggiorno ed inoltre già nel 1999 era stato destinatario di un decreto di espulsione dal territorio nazionale. Ieri invece è scattata nei suoi confronti la denuncia per il reato di immigrazione clandestina e gli è stato notificato un nuovo decreto di espulsione.
Palermo, 13 agosto 2009

mercoledì 19 agosto 2009

L'amministrazione della giustizia nella Contessa feudale - Merum et Mixtum Imperium.

Questo, come tutti i post che seguiranno, è parte di un più ampio studio in corso sulla storia umana nel territorio dell’attuale Contessa Entellina. Ci occuperemo assieme ai pochi lettori, quindi, di volta in volta, di Elimi, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni, Aragonesi e così via, oltre che ovviamente di Arbreshe.
L’edificio che adesso ospita gli uffici del comune fino agli anni cinquanta del Novecento conservava i caratteri originari dell’impianto, costruito probabilmente nel seicento. Lì era la sede dei Signori feudali; non aveva tuttavia nulla di solenne né di architettonicamente apprezzabile. Mancava, non sussisteva perchè ancora non realizzato, quello che attualmente è l’ultimo piano, dove sono ospitati gli uffici demografici e l’aula consiliare. L’edificio non si distingueva per nulla dai fabbricati adiacenti. Segno che i Signori, lì, non ci vennero a vivere mai, nemmeno per trascorrervi una settimana; esso serviva quindi ai suoi rappresentanti, che in sua vece, gestivano la vita pubblica della comunità, dal secreto al maestro notaro ai giurati, al capitano, figure queste che andremo interpretando nelle loro funzioni con appositi ‘post’.
L’ingresso dell’edificio era situato, originaria -mente, sia sulla via Scanderbergh, dove una larga scalinata avviava l’ascesa pressappoco dall’attuale porta d’ingresso dell’ex biblioteca e si fermava dove oggi si trova l’ufficio del sindaco, sia in corrispondenza di quello che oggi è divenuto il principale accesso al palazzo (via Municipio); da qui si doveva comunque scendere al livello inferiore poiché, lo abbiamo già detto, non esisteva l’attuale ultimo piano.
Nulla resta oggi del vecchio impianto dell’edificio, che è stato peraltro ampliato con una nuova ala nel corso degli anni settanta del secolo scorso. L’area interessata da quest’ultimo intervento prima di allora era libera ed ospitava un verde giardinetto privato.
Entrando dalla via Scanderbergh nei locali della ex biblioteca balza subito agli occhi un locale, un vano buio, oscuro ed umido. Non ci vuole molto a capire che lì era ospitata la tristemente nota fossa sacrilega, la cella buia ed isolata che caratterizzava il destino di chiunque, nel regime feudale, non avesse rispettato l’Autorità del Signore feudale. Sì, la concezione medievale della società era essenzialmente teocratica; “il principio di autorità veniva a costituire un tessuto connettivo continuo che legava tra loro tutti gli aspetti del mondo contadino feudale e che aveva alla propria base il rapporto di subordinazione diretta, giuridica-politica-militare-religiosa, del lavoratore al suo Signore” dice Dario Meloni nelle sue “Istituzioni di controllo sociale …” a pag. 295. In quest’ottica tutti i signori feudali dell'isola rivendicavano a sé, ed ottennero tutti anche comprandolo, l’esercizio del potere giudiziario all’interno della propria baronia.
Il diritto di amministrare la giustizia sui propri sudditi era, in termini politici e sociali, il privilegio sicuramente più rilevante di cui godeva la maggior parte dei feudatari siciliani. Arrivava a loro dalla concessione regia, che menzionava la clausola nei documenti dell’investitura, del mero e misto imperio: il misto imperio era la ‘bassa giustizia’ (possibilità di comminare lievi pene corporali previo arresto), il merio impero consisteva nella potestà di punire i ‘facinorosi’ con la morte, l’esilio e la mutilazione.
I Cardona prima (che la ottennero dopo che i nuovi arrivati arbreshe ebbero sottoscritto i capitoli che regolavano il loro insediamento) ed i Colonna dopo con l’esercizio della giurisdizione civile e criminale esercitarono nello Stato di la Cuntissa un forte controllo sul territorio e sulla popolazione. Non lo fecero direttamente perché essi verosimilmente non misero mai piede in questa loro baronia, ma mediante rappresentanti che in parte venivano dalla sede della contea, Calatafimi prima e Chiusa Sclafani dopo, ed in parte erano locali. Ma di questa suddivisione ci occuperemo in altra occasione.
In quel tempo il metodo di indagine era segreto, si indagava nel silenzio per scoprire la verità. Lo scopo del processo inquisitorio era quello di ottenere la confessione del reo e non importa con quali mezzi. Da qui a legittimare l’uso della tortura per estorcere ammissioni di colpa il passo fu breve. Ogni crimine non veniva valutato in base alla sua gravità, quanto in base alla persona che lo aveva commesso; questa sarebbe stata infatti trattata con maggiore severità se fosse stata di “basso lignaggio” o delle classi inferiori. Tramite la ‘penance’, o il perdono ecclesiastico, era possibile commutare la pena corporale o addirittura la morte in una condanna alternativa. Esisteva, dunque, un principio di differenziazione del trattamento. Chi poteva pagare, o aveva conoscenze altolocate, fruiva di una pena incruenta, mediata dall’assoluzione o dal denaro; chi non possedeva privilegi, viceversa, soccombeva. Nel periodo dei Cardona e dei Colonna, signori del nostro territorio, nasce in embrione, nell'isola, la cultura odierna del clientelismo, dell’amicizia finalizzata, ed anche della mafia. Dal XV secolo la pena di morte e di mutilazione divennero misure più comuni rispetto ad altre e venivano applicate ogni volta che l’imputato fosse ritenuto un pericolo per la pace sociale; con questo termine si comprendevano non solo i delinquenti ma anche chi pensasse ad un mondo diverso e migliore. Il carcere nel periodo che stiamo esaminando non era comunque una punizione; lì, nelle celle, come in quella che ritroviamo nel palazzo municipale, la prigionia era luogo di reclusione in attesa del processo, ove gli accusati erano costretti a passare parecchi mesi o anni prima di vedere il loro caso risolto. Il carcere inteso come pena non esisteva infatti. La pena, quando sarebbe arrivata, avrebbe deciso della vita, dell’integrità fisica, del denaro. Il tutto in un contesto di spettacolarità e di crudeltà.
Non abbiamo notizia, o meglio documentazione, su quante persone siano state ospiti della "cella" del nostro palazzo signorile, tuttavia quel locale avrà sicuramente assolto alla funzione per la quale è stata costruita.
La cella che risulta in buono stato di conservazione nel palazzo municipale, se fosse rinvenuta in Franciao in Germania sarebbe luogo di attrazione e di interesse per studiosi e per turismo culturale. A Contessa Entellina, invece, pochi ne conoscono l’esistenza.
Il Contessioto

Agosto contessioto sulla stampa isolana

Tutti i giornali pubblicati in Sicilia parlano in questi giorni dell’agosto 2009 sulla spiaggia di Mondello, del turismo estivo a Taormina e di altre attrazioni della nostra terra. Per la prima volta la stampa siciliana si è occupata, quest'anno, dell’agosto contessioto, senza peraltro che i due assessori comunali, Bellini per il turismo e Musacchia per la cultura, abbiano speso un soldo.
L’interesse della stampa, e del tg3-Regione, verte su aspetti culturali della nostra realtà, sulla cui interpretazione da parte di taluni avremmo più di un motivo per vergognarci. Si tratta del divieto, poco cristiano, di far entrare gente di questo paese, disposta a pregare, nella Chiesa della Madonna della Favara.
Qui sotto riportiamo gli articoli pubblicati finora dal Giornale di Sicilia e da La Sicilia, in seguito tenteremo una nostra analisi della vicenda.
Il Contessioto
__o0o__

GIORNALE DI SICILIA 4 agosto 2009

Religione. Porte chiuse alla Madonna della Favara per gli antichi e tradizionali cori bizantini
CONTESSA, UN NUOVO CONTRASTO FRA LE CHIESE DI RITO GRECO E LATINO Contessa Entellina.
Quanto accade in paese in questi giorni ha sapore medievale, secondo alcuni di intolleranza, secondo altri da comica alla Don Camillo e Peppone. Come è sempre avvenuto da quattro secoli, nel pomeriggio del primo agosto e poi nei giorni successivi il parroco di rito bizantino Papas Nicola Cuccia con i fedeli della sua parrocchia si è presentato nella chiesa della Madonna della Favara ( e lo farà fino al 15), ove è conservata l’immagine della patrona, per innalzare inni antichi, denominati la <<>>, composti nella Costantinopoli di Giustiniano millecinquecento anni fa. Ma quest’anno ha trovato il portone chiuso perchè, spiega don Mario Bellanca, parroco di rito romano della Chiesa, ognuno deve pregare nella propria chiesa. La secolare consuetudine che i greci invocano, sostiene, è ormai superata dal codice di diritto canonico del 1983. Papas Nicola tira fuori atti notarili concordati nel 700 fra i parroci della comunità bizantina e latina di Contessa, rivendica l’avvenuto consolidamento della consuetudine, mostrato un decreto del vescovo di Piana del 22 agosto 2008 che conferma la tradizione. Ma don Mario è irremovibile: solo a lui, dice, e ai latini, compete la modalità d’uso della chiesa della Madonna della Favara. E lo conferma in una lettera inviata al vescovo dello scorso luglio, dove ipotizza, come punto di mediazione, il coinvolgimento a pieno titolo della sua parrocchia nei festeggiamenti principali del paese, in settembre, che invece sono coordinati dai greci.
Inutile finora il tentativo di composizione del sindaco e del maresciallo dei carabinieri. Pare anche improbabile, almeno nell’immediato, una iniziativa d’autorità dell’eparca di Piana, vescovo sia dei latini che dei greci, poichè la Santa Sede in questi giorni ha inviato un Visitatore Apostolico, Mons. Tamburrino, Arcivescovo di Foggia, perchè riferisca al Papa sullo stato dell’Eparchia dopo 46 anni dalla sua istituzione.
Gli inni bizantini così, sono cantati dai cori diretti da Papas Nicola all’esterno della Chiesa della Madonna della Favara, davanti al portone chiuso.
Domenico Clesi

LA SICILIA4 agosto 2009

Contessa Entellina. “Frizioni” da qualche giorno tra la comunità di rito ortodosso e quella ‘latina’
E L’ECUMENISMO ? UN INUTILE OPTIONAL Contessa Entellina.
Uno scontro tra i fedeli di rito bizantino e quelli di rito latino –gli uni e gli altri cattolici, apostolici e romani- sta mettendo in subbuglio gli abitanti del piccolo centro. Il paese albano fono vede da circa 500 anni una pacifica anche se non facile convivenza tra le due comunità cattoliche. Da una parte, quella di rito greco-bizantino, i cui antenati provenienti dall’Albania in fuga dopo aver combattuto per 40 anni gli ottomani invasori al punto da meritarsi dal Papa il titolo di “defensores fidei” e che ebbero assegnato il sito dalle autorità ecclesiali siciliane; dall’altra, quella di rito latino formata da siciliani arrivati successivamente a Contessa provenienti da altri paesi dell’isola.
La comunità di origine arbresh è formata per la maggioranza da fedeli “greci” che appartengono all’Eparchia di Piana degli Albanesi, dove vive e governa il vescovo Sotir Ferrara. Per tradizione, da circa mezzo millennio, accompagnati dal “papas” i “greci” di Contessa Entellina nella prima quindicina di agosto si recano nella chiesa dei “latini”, S. Maria della Favara, per celebrare l’antica liturgia di rito bizantino in onore della Vergine Maria. Tutto è filato liscio fino all’altro ieri. Guidati da “papas” Nicola Cuccia, i “greci” hanno, infatti, trovato il portone sbarrato e da giorni sono costretti a cantare e pregare all’esterno della chiesa.
La decisione di interrompere questo rito secolare è di padre Mario Bellanca, nuovo parroco dei “latini” che rivendica l’uso esclusivo della chiesa secondo le previsioni canoniche. I “greci” per sostenere le proprie ragioni hanno anche tirato fuori dai cassetti le transazioni notarili del 1700 e rivendicato la secolare consuetudine, ma neanche l’intervento del sindaco e del maresciallo dei carabinieri è riuscito a far cambiare idea –alla faccia dell’ecumenismo- a padre Bellanca, il quale sostiene di avvalersi del codice di diritto canonico del 1983.
“Non capisco –sostiene un nostro lettore di Contessa Entellina, Domenico Clesi- come mai dopo l’apertura del Papa alle chiese ortodosse, un parroco possa prendere una decisione che interrompe una tradizione religiosa plurisecolare”. Di qui l’appello all’Eparca Sotir Ferrara, che finora non ha adottato alcuna iniziativa per risolvere la questione e riportare la pace tra le due comunità.
Onorio Abruzzo

GIORNALE DI SICILIA9 agosto 2009

Contessa Entellina. Risolverà i contrasti tra rito greco e rito latino
LA CHIESA INTERDETTA AI FEDELI
LO SCONTRO FINISCE IN VATICANO
Il parroco ha chiuso l’edificio così è saltata la liturgia bizantina

Contessa Entellina. Non mostra segni di conclusione a breve la controversia fra fedeli di rito romano e fedeli di rito greco-bizantino a Contessa Entellina. Don Mario Bellanca, il parroco della parrocchia latina intitolata alla Madonna della Favara, è andato in ferie lasciando sbarrato il portone della chiesa. Così, nel pomeriggio di ogni giorno, come è sempre accaduto da secoli nel paese di origine arbereshe, quando i “bizantini” si presentano per celebrare la liturgia della prima quindicina di agosto denominata la “Paraclisis” in quella chiesa, sono costretti a pregare e cantare all’esterno, davanti al sagrato. La vicenda ha così generato una diatriba tra le due parrocchie.
Da qui la decisione di non far celebrare la “Paraclisis” fino a quando non verranno accolte le sue proposte. La vicenda, per i suoi marcati aspetti di incomunicabilità fra le due parrocchie, ha ormai raggiunto i più alti vertici della Chiesa. Il ventuno di questo mese la Congregazione per le Chiese Orientali, organismo vaticano a cui fa riferimento l’eparchia di Piana degli Albanesi, assumerà le determinazioni in proposito alla luce della disciplina del Codice di diritto canonico secondo cui quando le consuetudini di pratica religiosa sono secolari ed immemorabili diventano immutabili.
Domani mattina si riunirà pure il consiglio comunale della cittadina arbereshe per discutere un documento concordato trasversalmente fra i gruppi politici con cui si rivolge un invito alle autorità ecclesiastiche perché riportino a normalità la situazione in paese. Il problema in effetti all’inizio coinvolgeva la stretta dei praticanti di entrambe le parrocchie ma negli ultimi giorni ha coinvolto l’intero paese, essendosi aperto un confronto sull’identità storica del paese. Lo mostra il fatto che la liturgia della “Paraclisis” è seguita quest’anno da parecchia più gente che gli altri anni. (DC)
Domenico Clesi



LA SICILIA10 agosto 2009

Contessa Entellina. Dopo la decisione di Padre Bellanca di impedire i riti arbresh nella Chiesa Madre
L’INTERVENTO DELL’INVIATO PONTIFICIO
Contessa Entellina. Continua lo scontro tra i fedeli di rito bizantino e quelli di rito latino. I primi, costretti a celebrare l’antica liturgia in onore della Vergine Maria per strada, e i secondi, formati da un unico oppositore, che si ostina a chiudere il portone della chiesa, per evitare la celebrazione di tali riti.
Infatti, all’origine della controversia, sta la volontà di don Mario Bellanca, parroco dei latini, che dopo secoli di convivenza tra le due comunità cattoliche e apostoliche, ma con riti e tradizioni diverse, ha deciso di non far celebrare la “Paraclisis”, l’antica liturgia arbresh, che si svolge la prima quindicina di agosto, nella chiesa dei fedeli latini di S. Maria della Favara.
L’iniziativa del parroco ha creato non pochi disagi nel piccolo centro del palermitano, dove da secoli, la maggioranza dei suoi abitanti, che parlano l’albanese, è formata da fedeli “greci”.
Da giorni, i fedeli arbresh chiedono l’intervento del vescovo di Piana degli Albanesi, ma da parte di monsignor Sotir Ferrara ancora non è arrivata nessuna risposta e gli abitanti si sentono abbandonati.
Tali scontri e disagi hanno fatto intervenire il Vaticano, che ha spostato la questione alla Congregazione delle Chiese Orientali, organismo della santa Sede per i problemi delle chiese di rito non romano. Ad essere nominato, Mons. Tamburino, arcivescovo di Foggia, che già da tempo, come visitatore apostolico, ha osservato l’attività della diocesi bizantina di Piana degli Albanesi, e adesso dovrà risolvere la controversia alla luce del diritto canonico, che per le consuetudini di pratiche religiose plurisecolari, prevede l’immutabilità. Ad intervenire, anche l’intero consiglio comunale, che ha approvato all’unanimità, un documento che invita le due parrocchie a riappacificarsi.
“Non capisco –afferma il consigliere comunale Vincenza Reina- come mai don Mario abbia preso una tale decisione. Nello statuto del comune è ben evidenziato l’appartenenza alla cultura arbresh e poi non si possono mettere in discussione tradizioni che si svolgono da più di 500 anni”. Il parroco intanto continua a vietare l’accesso ai greci nella chiesa, e tutti sperano che l’inviato apostolico possa, al più presto, risolvere la questione.
Onorio Abruzzo

LA SICILIA13 agosto 2009

Contessa Entellina. Don Mario si “giustifica”
“LATINI” e “GRECI”
CONTINUA LA CONTESA

Secondo il prete le Paraclisis” sono “contra legem” e il portone della Chiesa Madre resta sbarrato. Ma pare aprirsi uno spiraglio in vista dei festeggiamenti per la Patrona s. Maria della Favara.
Onorio Abruzzo

“Recitare le Paraclisis all’interno della chiesa madre è “contra legem”. Lo sostiene, in un comunicato ufficiale, don Mario Bellanca, il parroco “latino” di Contessa Entellina, al centro di un piccolo caso, dopo che, nei giorni scorsi, aveva vietato l’utilizzo dell’interno della chiesa ai fedeli di rito greco. Quindi, quando mancano appena due giorni al quindici agosto, i cristiani di rito greco, che da 500 anni celebrano, nella prima quindicina del mese, il rito della “Paraclisis” all’interno della Chiesa di S. Maria della Favara, hanno perso le speranze di poter varcare quel portone, che continua a rimanere chiuso, e saranno costretti a celebrare il loro rito bizantino, ormai giunto quasi alla fine, per strada.
Uno scontro, quello tra la parrocchia di rito arbresh, e quella di rito latino, che, nel piccolo centro del palermitano, sta creando numerose divisioni, tra chi è d’accordo con il parroco dei “latini” nel vietare l’accesso nella chiesa ai “greci”, e chi si vede vietata una tradizione plurisecolare che ha sempre fatto parte della cultura e dell’etnia del luogo. Nel comunicato –inviato da don Mario Bellanca, attraverso il suo avvocato al sindaco e al presidente del consiglio comunale, che ripetutamente hanno chiesto la riappacificazione delle due parrocchie- si specifica “come la parrocchia latina da lungo tempo abbia rappresentato, sia al parroco bizantino del paese, che al vescovo di Piana degli Albanesi, anch’esso di appartenenza arbresh, l’avvenuta decadenza della transazione settecentesca, che garantiva ai greci la possibilità di cantare all’interno della chiesa latina gli inni alla Theothokos (la Madre di Dio)”.
Don Bellanca chiarisce, quindi, “che la consuetudine risulta annullata già dal codice di diritto canonico del 1917 e poi da quello successivo del 1983. La legge ha una valenza superiore alla tradizione celebrata dai “greci”, che risulta essere “contra legem” perché comprime la piena autonomia di una parrocchia latina a beneficio di altri riti differenti e appartenenti ad altre tradizioni religiose”.
Il comunicato ha provocato numerose polemiche da parte dei fedeli “greci” che –aspettando una presa di posizione da parte del vescovo di Piana degli Albanesi Sotir Ferrara che ancora tarda ad arrivare, ma anche dell’inviato apostolico, mandato dal vaticano per risolvere la questione- continuano a ribadire il loro diritto di “frequentazione di un luogo di culto di una comunità e un paese che ha una storia e delle origini arbresh riconosciute e trascritte in documenti storici fin dalla sua nascita”.
Malgrado il rito dei “greci” stia per terminare, si respira aria di tensione anche per i prossimi festeggiamenti in onore della patrona S. Maria della Favara, prevista per la prima settimana di settembre. Anche qui i “greci”, fino allo scorso anno, hanno celebrato le loro funzioni all’interno della chiesa.
Secondo alcune indiscrezioni, finalmente, dovrebbe esserci un intervento del vescovo, anche se alla fine del comunicato diffuso da don Mario Bellanca si intravede la possibilità di una negoziazione in merito all’antica transazione che recita “la possibilità di testimoniare lo stesso mistero in forma convergenti e con ruoli paritari delle due parrocchie per i festeggiamenti della patrona”. Gli abitanti e fedeli sia “latini” che “greci” sperano che si trovi al più presto una soluzione con la speranza che i festeggiamenti di una festa che coinvolge l’intera comunità si possano svolgere in armonia.

lunedì 17 agosto 2009

Obiettivi di questo blog 'Contessa Entellina'


Qualche decennio fà, per definire l'identità di Contessa Entellina, si sarebbe detto che era un centro rurale dell'entroterra palermitano. In effetti l'identificazione era veritiera, perchè fino agli anni sessanta, in pieno Novecento, poco prima del terremoto che scosse la Valle del Belice, la popolazione all'85%, per il proprio sostentamento, dipendeva dalla dura, segnata da sacrifici immani, agricoltura semifeudale. L'agricoltura di sostentamento. La gran parte della popolazione dipendeva, inoltre, dalle consistenti rimesse dei congiunti emigrati.

Oggi in poche battute come possiamo definire la realtà di Contessa Entellina ? Rispondere non è facile.

Una rapida, e per nulla fondata su dati scientifici, panoramica ci evidenzia:

1) su 1.900 iscritti all'Anagrafe del Comune, meno di 1.500 vivono effettivamente all'interno del territorio comunale (esteso oltre 13.000 ettari). Il centro abitato ha, secondo dati Istat di alcuni anni fà, la capienza di 7.500 anime.

2) L'agricoltura non è più la principale fonte di sostentamento della popolazione.Esistono poche aziende vitivinicole di notevole importanza, che comunque appartengono ad operatori residenti nel marsalese o in altre località. Ci sono, inoltre, numerose proprietà agricole che sono frammenti degli antichi feudi e delle estese baronie del lontano passato storico. Queste proprietà, in buona misura, sono condotte sussidiariamente, come attività secondaria, dai loro possessori che hanno, quindi, un'altro impegno primario remunerato in altri comparti produttivi, principalmente nei servizi presso la pubblica amministrazione, il consorzio di bonifica, la forestale, il piccolo commercio. Esistono, comunque, aziende di allevamento ovino e bovino, ed in una qualche misura equino; ma il quadro tratteggiato non cambia.

I redditi allora da dove provengono ? Dai trattamenti pensionistici degli anziani in buona misura, poi, come accennato, dalle retribuzioni dell'Azienda Forestale e poi ancora dai servizi della pubblica amministrazione (impiegati comunali, dipendenti del consorzio, della sanità, della scuola e così via). Ovviamente la poco evoluta agricoltura ha un suo ruolo, anche se di gran lunga ridimensionato rispetto al passato. Ciò che è evidente qui, ad occhio nudo, è che i giovani o sono studenti o non ci sono, sono già partiti per altrove.

A fronte di questi cenni descrittivi della realtà, come possiamo definire, in due parole, l'odierna rappresentazione di Contessa ? Potremmo azzardare: il paese che fu. Si, da noi, nessuno parla di un prossimo futuro di impegni e di prospettive. Qui tutti parlano, ricordano, trattano di come è stato il passato di questa comunità, quello remoto e quello più recente, comunque si discute di ciò che è stato.

Perchè di questo blog ? Quali sono gli obiettivi ?

Voglio anch'io parlare di passato, di storia, di radici e di strutture produttive, di fondamenti culturali ed antropologici; voglio inoltre parlare di avvenimenti di oggi e delle opportunità che l'oggi può riservare per il domani; voglio sviluppare in buona sostanza i discorsi che si fanno attualmente a Contessa sul passato, per tentare di intravedere il futuro. Voglio parlare non per gusto speculativo, ma per tentare di trarre fili e trame da, possibilmente, sviluppare nel presente e nel futuro, nell'interesse dei nostri giovani che non possono attendere il favore dei politici di turno per restare, continuare a vivere a Contessa.

Parlerò, inviterò a parlare, con lo spirito spiegato qui sopra, di Entella, di Calatamauro, di Santa Maria del Bosco e di Contessa Entellina. E perchè no ! di greci e di latini. Ma parlerò non solamente di Contessa. La realtà di Contessa, infatti, è analoga a quella di tutti i paesi dell'entroterra palermitano. Parleremo tutti, compresi i pochi lettori che vorranno seguire il blog, dunque, di Sicilia e non solo di essa. Se dovesse servire parleremo di quelle terre, nel mondo, dove i contessioti negli ultimi 160 anni sono emigrati.

Voglio provare, con serietà, con spirito costruttivo, rigore scientifico per quanto attiene lo studio del passato e la progettazione dell'avvenire a capire se è possibile il risveglio dell'interno dell'isola. Deve pur essere vero quel giudizio diffuso che ammette che se si hanno solide radici piantate nel passato, affrontare il futuro -su queste solide basi- deve essere facile. Proviamoci !
Il Contessioto